“Asso di monnezza” di e con Ulderico Pesce. Al teatro Lo Spazio di Roma
Il teatro senza denuncia
Con Asso di monnezza di e con Ulderico Pesce è incominciata la nuova stagione del teatro Lo Spazio di Roma. Lo spettacolo non è certo nuovo ma l’autore e attore lo ha aggiornato inserendo alcuni fatti recenti che riguardano i traffici di rifiuti, per esempio le vicende legate a Paola Muraro, l’assessore all’ambiente del Campidoglio. Ora, premesso che Pesce è un bravo showman, una domanda si pone: è ancora necessario il teatro civile, sociale, di denuncia, o come lo si vuol chiamare? Dopo vent’anni circa che lo si pratica in Italia, forse è arrivato il momento di chiedersi se questo tipo di spettacolo, basato su una preliminare inchiesta di stampo giornalistico, non mostri la corda. A proposito di rifiuti, a causa dell’enorme discarica che è internet, dove si trovano pure cose preziose, tutti sanno tutto e nessuno sa niente. È universalmente noto che sulla monnezza le organizzazioni criminali fanno affari d’oro, che gli industriali delinquenti del Nord smaltiscono illegalmente i loro rifiuti nelle discariche abusive del Sud, che a causa di questo colossale malaffare la gente muore di cancro e i bambini nascono malformati, che questa strage andrebbe punita con migliaia e migliaia di ergastoli e che il codice penale italiano vergognosamente non prevede il reato ambientale. Quello che Pesce fa, come d’altronde tutti gli artisti che praticano il teatro di denuncia, è di informare sui dettagli, sui numeri del disastro e su eventuali particolari che sono sfuggiti all’attenzione del singolo spettatore. Ma il quadro generale è chiaro a tutti prima ancora di entrare in sala e i colpevoli sono conosciuti, in primis ovviamente la politica praticata a grande maggioranza da uomini sozzi di sangue altrui. E questo vale per esponenti di partiti vecchi e nuovi. Quindi la denuncia, la pars destruens come direbbero i filosofi, è in buona sostanza una ripetizione, mentre la pars construens, la proposta, non è oggettivamente compito dell’artista. Repetita iuvant, in effetti, soprattutto quando la maggior parte della stampa, in mano agli stessi industriali delinquenti, pratica con solerzia il peccato di omissione se non quello di falsificazione. Ma quegli stessi giornali sono in grave declino di vendite e di credibilità, ossia pagano in termini di onore e di moneta le loro malefatte. Dall’altro lato, l’enorme cacofonia di internet impedisce di individuare i suoni giusti perché in questo oceano di disinformazione artatamente versata in rete, di notizie manipolate, complottismo, leggende metropolitane, dilettantismo giornalistico, il vero affoga e diventa indistinguibile dal falso. Pesce afferma cose vere, documentate, analizzate come dovrebbe fare un buon giornalista – e qualche cronista ogni tanto lo fa – ma ciò di cui si sente l’urgenza in tanta confusione è la riflessione sulla società nella quale viviamo: non indagini sugli scandali del pattume ma sulla natura umana e sulla sua attuale azione nel mondo. Che è proprio il compito del teatro. Non spettacoli su quanto avrebbe combinato la Muraro e che la magistratura verificherà, ma su ciò che la Muraro rappresenta dal punto di vista umano, antropologico, culturale. E per questo ci vuole l’étude de moeurs e ci vogliono i personaggi, i quali sono sintesi delle persone, sono metafore che spiegano, che illuminano, che condannano. Ci vuole drammaturgia insomma, che inventi il suo Tartufo, l’ipocrita col quale Molière distrusse i falsi devoti e si inserì nella polemica del suo tempo fra gesuiti e giansenisti. Altrimenti il teatro non tornerà ad essere come una volta, com’era fino a pochi decenni fa, al centro del dibattito sulla polis: a forza di occuparsi di scandali è difficile diventare pietra dello scandalo.