“Viola di mare” di e con Isabella Carloni. Al teatro Argot di Roma

01.Viola di mare

La donna-uomo e l’arte di amare

Scampoli di fine stagione. Cose in giro qua e là sulla sabbia a bassa marea. Belle, brutte, chissà, tocca tirare i dadi. Giugno è un mese infame per la prosa, è sempre stato così, anche negli anni Trenta secondo le vecchie cronache. Aspettando le estive, quando si va a teatro a rinfrescarsi l’anima come ai bagni a refrigerare il corpo, all’Argot di Roma è incominciata la rassegna “La scena sensibile”. Edizione numero ventidue, una storia lunga di spettacoli e letteratura al femminile. Un’iniziativa giusta fin quando il teatro delle donne non avrà più bisogno di recinti, di esposizioni e mostre della femmina teatrale, perché finalmente farà parte a pieno titolo della normalità. Fin quando nessuno penserà più “stasera andiamo a vedere una donna” come si va all’acquario di Genova a guardare la murena nella vasca.
La Viola di mare, titolo d’inaugurazione della rassegna, è anch’essa un pesce (così chiamato in siciliano, in italiano è donzella di mare) che nasce maschio e diventa femmina. Mentre il personaggio di Pina fa il percorso inverso e diventa maschio. Si sta nella Sicilia del secondo Ottocento, sull’isola di Favignana, e la ragazzina è saffica, per giunta innamorata di Sara. La storia è tratta da un romanzo di Giacomo Pilati, Minchia di re, sul quale poi è stato fatto un film con Valeria Solarino e questo monologo di e con Isabella Carloni. Carloni è un’interprete con mezzi espressivi evidenti, in scena ha una sua potenza sovrastante una tecnica che non viene celata e neppure esibita. L’attrice uscì a suo tempo da una gran bella scuola di teatro che era tenuta a Bologna da una donna di notevole spessore artistico e formativo, una donna importante, Alessandra Galante Garrone. Poi Alessandra nel 2004 è morta troppo giovane, una vera perdita per il teatro italiano, un vuoto nel punto in cui l’attore nasce, anche se per fortuna la scuola continua il suo lavoro. Pina vestita da uomo, con il seno annullato da una stretta fascia, racconta di se stessa in mezzo a una Sicilia ancora feudale, il padre la picchia a sangue e la rinchiude per giorni quando ne scopre l’indole, la zia è violentata dal parroco, c’è il vecchio garibaldino Cecé, il barone la impiega, a lei Pina, anzi Pino, a sorvegliare gli operai ai quali “meno ci dai, più li comandi”. E su ogni cosa svetta Sara perché questa tutto sommato è una storia d’amore, una grande storia d’amore che prende una vita intera per concludersi, dice la verità storica, nel cimitero dell’isola. Perché è esistita veramente una femmina-maschio a Favignana.
Teatro di denuncia? Forse, comunque un teatro etico su una figura che sta oltre la frontiera del consentito e che trova in Carloni una protagonista capace di una recitazione fluida, seppure a tratti un po’ fredda, e d’uno stare in scena semplice ma ricco di dettagli e di sfumature nella voce e nella gestualità. È un’artista che ha la caratteristica di non fare vedere lo sforzo e al contempo si tiene alla larga dalla faciloneria sciatta di far finta di stare a casa sua. Evidentemente la scena per lei è un luogo preciso e uno stato di concentrazione dell’arte nel quale si devono incontrare lo spirito di ciò che si fa con l’anima di ciò che si è, ossia il personaggio come idea astratta e l’attore come individualità concreta. Per esempio, a un certo momento, pochi secondi, dispiega un leggero tremolio, quasi un birignao, che sarebbe affettazione da evitare oggidì, eppure lei lo adopera nel punto giusto della sua prova, nell’attimo in cui deve esprimere un’emozione del personaggio, una certa ritrosia, una timidezza. Tecnica ma senza eccessi, anche se si intravvede una volontà di controllo della recitazione che impedisce a quell’emozione di volare via libera.
Lo spettacolo manca di una regia accorta e s’avvale di un testo che teatralmente non cammina da solo, non è una di quelle belle biciclette a cui basta dare qualche pedalata ogni tanto e si va. Ma una buona attrice si vede quando non viene servita, se lo fosse la sua potrebbe essere una prova eccellente.

Marcantonio Lucidi,
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