“Io non so mai chi sono” di e con Grazia Di Michele e Platinette. Al teatro Lo Spazio di Roma
Non sono soltanto parole
Grazia Di Michele è una cantante che quando sale sul palcoscenico con la sua chitarra, s’avvicina al microfono e si mette a cantare Anna di Amsterdam di Chico Buarque, sembra che lo faccia solo per te che sei un maschio che non ha capito nulla perché questa è la storia di una prostituta. E quando interpreta la sua Carnevale sembra che lo faccia per tutte le donne, con quella meravigliosa ironia femminile che spara nel cuore con fiori a punta di lancia: “Il giorno che, il giorno che morirai, indosserò il mio sorriso più bello / il giorno che, il giorno che morirai, ti seguitò ballando fino al cancello”.
Passano Romana, Laura, Cuori di tenebra, intervallati da brevi racconti di storie dure, gente con l’Alzheimer, ragazze violate in famiglia e donne di Afghanistan rinchiuse nel burqa, interdette di amare fuori dal matrimonio, di truccarsi, di fare sport, di affacciarsi dal balcone, persino di ridere. Di ridere dolcemente come fanno le ragazze. Lo spettacolo però, che s’intitola Io non so mai chi sono, in scena al teatro Lo Spazio, non è un recital di Grazia Di Michele. È un gioco un po’ musicale, un po’ cabarettistico che lei offre assieme a Platinette, al secolo Mauro Coruzzi. Platinette incomincia con un monologhetto comico su Ines, tabaccaia emiliana e va avanti scherzando e duettando con Di Michele nella canzone che assieme portarono a Sanremo nel 2015, Io sono una finestra: “Io non so mai chi sono eppure sono io / Anche se oltre il vetro per me / Non c’è mai un Dio”. E che continua nel dramma di chi vende la propria ambiguità: “Ma questo qui è il mio corpo benché cangiante e strano / Di donna dentro un uomo eppure essere umano”. Coruzzi prende in giro gli altri e se stesso “sessantenne obesa, ora ex obesa”, poi si spoglia, mostra il petto, la pancia, riprende un suo vecchio gioco radiofonico cantando Buonasera dottore di Claudia Mori e tutto è uno scherzo un po’ folle, un po’ liberatorio, molto kitsch naturalmente, molto “bordel line”.
Alla fine Grazia di Michele e Platinette duettano su Parole parole, lui fa la parte di Alberto Lupo: “Cara, cosa mi succede stasera? Ti guardo ed è come la prima volta”. E lei fa Mina: “Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei”. Poi a mezza canzone, invertono i ruoli.
La serata è troppo breve, dura un’ora e un quarto scarsa; mancano almeno un altro paio di canzoni e altrettanti monologhi per renderla più corposa; inoltre i due protagonisti interagiscono poco, ognuno sembra rimanere dentro la propria scatola. Danno l’impressione di avanzare con il freno a mano tirato, come se non avessero ancora capito la strada che si può fare con questo spettacolo. Come se non vedessero ancora le immense praterie di libertà che, adeguatamente perlustrate, un teatro offre, al paragone del quale la televisione sembra la riproduzione vetrigna di un regime fascista.