“Xanax” di Angelo Longoni, regia di Antonio Salines, con Sandra Collodel e Paolo Lanza. Al teatro Belli di Roma
Due mosche in un bicchiere
Xanax è una commedia di Angelo Longoni d’una quindicina di anni fa che ha avuto successo. Il fatto che venga riproposta al teatro Belli, con la regia di Antonio Salines e l’interpretazione di Sandra Collodel e Paolo Lanza, contraddice la cattiva abitudine dei nostri palcoscenici di bruciare le opere degli autori italiani in un solo allestimento e di non rimetterle in scena a distanza di tempo, se possibile con registi e attori diversi. La costituzione di un repertorio nazionale non si fa con l’accumulo dei titoli depositati in Siae – quello non è repertorio, è magazzino – ma con le nuove edizioni, con la circolazione periodica, con il rinnovato interesse per le opere contemporanee da parte dei registi e soprattutto dei produttori. Questi ultimi responsabili in primis di quei grandi cimiteri dove riposano i testi dimenticati degli autori di oggi mentre persino al povero Diego Fabbri – sempre sia onorato il suo nome, per carità – capita ogni tanto di venire estratto dalla sua tomba di drammaturgo minore. Per ottenere il diritto di esistere l’autore teatrale deve anch’egli, come certe soubrettine, ottemperare alla necessità di giacere, salvo che alla soubrettina le viene chiesto in modo più vitale.
Xanax comunque ha avuto fortuna ed è stato più volte ripreso perché è un bel pezzo di etologia teatrale tipico dello stile di Longoni che vuole osservare come si comportano le mosche quando vengono chiuse in un bicchiere. Laura e Daniele si ritrovano prigionieri d’un ascensore bloccato la sera del venerdì, quando nel loro ufficio non c’è più nessuno e ormai della liberazione se ne parla lunedì mattina. I cellulari naturalmente non hanno campo perché l’ascensore è un piccolo bunker di acciaio sospeso dentro una colonna di cemento armato che fermerebbe persino le radiazioni nucleari. La donna e l’uomo lavorano in una grande casa editrice e si conoscono appena, quindi finiranno sul pavimento insieme, essendo che nel teatro come nella vita ci sono degli obblighi di galanteria e se ci si trova in ascensore a non poter cedere il passo alla donna, si ceda direttamente alla donna: noblesse oblige che è l’anagramma di sgobbone illese, cosa che non sono costrette ad essere le signore che fan tardi la sera per il lavoro.
Tuttavia quel che interessa qui non è quanto già si capisce ma ciò che non si sa, perché le due mosche hanno una quantità di cose da rivelare della loro vita di appartenenti a una classe media più o meno intellettualizzata e ingabbiata in mestieri e vite culturalmente sottosviluppate e depressive. Infatti Laura e Daniele non hanno da mangiare né da bere, ma sono ben provvisti di xanax (da qui il titolo), che è un ansiolitico benzodiazepinico ad azione rapida, di prozac e maalox, tanto che a un certo momento lui osserva che possono sopravvivere senza cibo e acqua ma non senza farmaci. Allora fra gocce e pillole, i due si svelano – i mariti, le mogli, i figli, il lavoro, l’amore, i tradimenti – e il sesso nel bicchiere finisce per essere un altro farmaco.
Per quanto riguarda i due interpreti, Sandra Collodel e Paolo Lanza, la sensazione è del tutto empirica ma non per questo meno acuta, e cioè che di questi tempi le donne siano in linea di massima più brave sulla scena dei colleghi maschi: Collodel tiene il personaggio, ne delinea un’evoluzione coerente, possiede quella che si potrebbe definire arguzia recitativa, e insomma sta ben dentro la questione che il regista Antonio Salines pone: tre notti e due giorni in un ascensore devono essere accompagnati da un progressivo degrado, psicologico e fisico, dei personaggi, i quali hanno anche problemi di tipo scatologico, e questo scivolare necessita di un continuo riequilibrio dell’interpretazione e di una velocità controllata del deterioramento dell’infausta situazione. Altrimenti si rischia che già a metà dello spettacolo i due protagonisti si trovino in condizioni subumane e che non vi siano più margini interpretativi per arrivare alla fine. Invece Paolo Lanza non riesce a individuare il segreto di questo spettacolo così come concepito dalla regia: una scala che si ha da scendere piano piano, gradino per gradino, senza fermarsi mai. Mentre l’ascensore resta fermo.