“Canzoni in forma di nuvole”, recital di Gianni De Feo al teatro Lo Spazio di Roma
Sergio Endrigo, dall’Istria all’amore
Non si troverà in questo spettacolo un’imitazione di Sergio Endrigo, del suo modo di cantare, perché Gianni De Feo non è un imitatore ma un interprete. Canzoni in forma di nuvole, al teatro Lo Spazio, è una raccolta d’una decina di titoli di Endrigo, più altre cose, alcuni racconti scritti da Ennio Speranza, La valse a mille temps di Jacques Brel o La colomba (versione italiana della canzone argentina Se equivocó la paloma, a sua volta tratta dalla poesia di Rafael Alberti La paloma dedicata a Pablo Neruda): “Pensò che il grano era l’acqua / Ma si sbagliava / Pensò che il mare era il cielo / E la notte la mattina / Ma si sbagliava / Ma si sbagliava”
Naturalmente c’è Io che amo solo te, che sta in mezzo allo spettacolo e s’aspettava, lo si agognava quasi, questo magnifico pezzo che fu cantato da tutti, Mina, Ornella Vanoni, Gino Paoli, Enzo Jannacci, Claudio Baglioni, Fiorella Mannoia, Rita Pavone: “C’è gente che ha avuto mille cose, / tutto il bene, tutto il male del mondo. / Io ho avuto solo te / e non ti perderò, / non ti lascerò / per cercare nuove avventure”.
De Feo alterna le canzoni con piccole storie quotidiane di uomini quotidiani che però forse nascondono mondi singolari: un signore ha perso la memoria e si ritrova in una città a lui sconosciuta, Lisbona, senza sapere perché, ma prosegue la sua vita, lavora, si sposa e un giorno perde di nuovo la memoria e attorno a lui ancora una volta una città sconosciuta; oppure l’avventura di un bambino che scappa da un collegio e arriva davanti al mare.
De Feo è un artista che sa cantare e recitare e ha una predisposizione per i recital. Una decina d’anni fa portò in scena uno spettacolo su Edith Piaf che era dolce e drammatico come il fumo di una Gauloise nella nebbia di una stazione ferroviaria francese. Questo su Endrigo invece, l’interprete lo ha costruito su di sé, sulle sue caratteristiche interpretative, anche perché il cantautore italiano non ha avuto un’avventura esistenziale (ed esistenzialista) così straordinaria come la Piaf. Endrigo parla attraverso le sue canzoni e parla soprattutto d’amore, di solitudine, di cose romantiche e malinconiche: Girotondo intorno al mondo, Elisa, Elisa, Via Broletto 34, Adesso sì, Te lo leggo negli occhi, Ljubica che è scritta in francese e che incomincia così: Je m’promenais par les Balkans / et Sarajevo à Dieu sait où / Au millieu d’brumeux palais / Pleins de memoires (“Passeggiavo per i Balcani / e Sarajevo a dio sa dove / in mezzo a palazzi nebbiosi / pieni di memorie”). Potrebbe essere ispirata alla sua infanzia istriana (era nato a Pola nel ’33, è morto a Roma nel 2005) e alla sua avventura di piccolo profugo dopo la guerra. Invece è ancora una volta una canzone d’amore per una diciassettenne candidata al titolo di Miss Jugoslavia a Sarajevo.
Al pianoforte Giovanni Monti che ha riarrangiato le musiche per questo omaggio a uno dei migliori chansonnier della musica italiana, non dimenticato però un po’ tralasciato, entrato nell’ombra che questo periodo storico stende sui poeti.