“L’amore migliora la vita”, testo e regia di Angelo Longoni, con Ettore Bassi, Giorgio Borghetti, Gaia De Laurentiis ed Eleonora Ivone

L'amore migliora la vita

Non vi preoccupate, siamo solo gay

Commedie come L’amore migliora la vita di Angelo Longoni funzionano a mo’ di macchine teatrali e quando sono montate bene – questo è il caso – diventano dei veri e propri studi di costume, “études de moeurs”. Quindi è buona cosa che siano scostumate, queste commedie, nel senso di denudare le convenzioni sociali e lasciarle esposte alle risate degli spettatori, i quali sovente sono i primi una volta usciti dalla sala a rimettere i panni al perbenismo violato.
La pièce di Longoni è molto attuale perché proprio in questi giorni in cui si discute in Parlamento dei diritti civili delle coppie conviventi, vi si parla di due coppie sposate che s’incontrano una sera a cena per discutere d’un grave problema: i loro rispettivi figli maschi, studenti liceali, sono omosessuali e stanno insieme.
La prima trovata di Longoni (anche regista dello spettacolo in scena alla Sala Umberto di Roma) è che si parla in continuazione di chi non c’è, i due ragazzi. Quindi l’amore sta da un’altra parte, fuori della scena. La seconda trovata naturalmente consegue: in palcoscenico tutti si odiano anche quando si potrebbe supporre che le cose stiano prendendo una certa piega passionale, da non rivelare per non togliere la sorpresa a chi volesse assistere allo spettacolo.
Sostanzialmente si tratta di una commedia catastrofica: a ogni scena si pongono le basi per un’ulteriore caduta quindi la comicità sta nel gioco di una situazione di partenza che degrada fino all’inverosimile per poi tornare, secondo uno schema classico, al punto iniziale. Al modo anglossassone le battute sorgono da ciò che avviene e dai progressivi cambiamenti dei personaggi, veri e propri martiri di un meccanismo che li stritola piano piano, con matematica crudeltà. Naturalmente i quattro protagonisti vorrebbero scappare dalla commedia in cui li ha messi Longoni, e il drammaturgo, non privo di una certa ferocia nei loro confronti, li lascia uscire per strada un paio di volte ma per metterli vieppiù nei guai. Succede sempre con le buone commedie che i personaggi sono vivi e cercano di sottrarsi al loro destino, e tutto lo spettacolo sta lì, nel vedere lo sbattere di povere mosche in un bicchiere. Naturalmente la morale è semplice: l’amore non sta dove si crede, anzi in genere al suo posto c’è l’ottusità, e si rivela invece altrove e nei modi che più gli aggradano. Alla faccia dei benpensanti.
Poi c’è il Longoni regista, che avendo costruito in sede di scrittura quattro caratteri antitetici, li fa cozzare ben bene sulla scena. Un padre è un industrialotto di piastrelle con moglie signorotta borghese e il vizio di distribuire anche bustarelle; l’altro papà fa il violinista e disprezza la consorte giornalista trattandola da mentecatta dell’intelletto (condizione presa di peso dalla vita, e legittimamente, i giornalisti di questi tempi sono a grande maggioranza degli intellettuali da sottoscala). A questo punto gli attori hanno la strada spianata: se non sbracano alterando gli equilibri, se rispettano certi tempi e certi movimenti, arrivano alla fine della pièce seguiti dalle risate. Non si sentiva la necessità in chiusura di spettacolo d’una voce registrata dei due ragazzi che rivendicano la libertà di essere imperfetti quanto i loro genitori. Il gentile pubblico aveva già capito bene la morale della storia.
In scena lavorano Ettore Bassi, Giorgio Borghetti, Gaia De Laurentiis ed Eleonora Ivone. Ognuno di loro ha un suo stile, Bassi sta più sulla battuta, De Laurentiis è molto attenta alla costruzione del personaggio, Ivone lavora sulla sottrazione e su una delicatezza anche fisica della propria persona, Borghetti è più neutro ma ben impostato nella voce e nel gioco collettivo.
Alla Sala Umberto fino al 21 febbraio.

Marcantonio Lucidi,
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