“I parenti terribili” di Jean Cocteau, regia di Filippo Dini anche interprete assieme a Milvia Marigliano e Mariangela Granelli. Al Quirino di Roma

I parenti terribili

Le vecchie zie non hanno bisogno di Freud

A teatro un genio è un signore che rompe le regole e fa come gli pare un’opera memorabile oppure finge di rispettare le regole ma fa lo stesso come gli pare un’opera memorabile. I parenti terribili è dramma che appartiene alla seconda categoria: l’avanguardista Jean Cocteau mette su un meccanismo da teatro di boulevard, una specie di Victorien Sardou più folle, e compie il delitto perfetto, ossia uccidere la borghesia con i mezzi della borghesia, disdorandola mediante l’esposizione teatrale, teatralissima, delle topaie scoperte dal professor Freud nelle cantine della perbenista classe media. Difatti quando andò in scena per la prima volta a Parigi nel 1938 al Théâtre des Ambassadeurs con il grande Jean Marais nel ruolo del giovane Michel, alla nona replica il consiglio municipale della città vietò le rappresentazioni del dramma, anche se lo spettacolo aveva ottenuto un gran successo perché la borghesia applaude quando qualcuno le tira in faccia la torta delle sue vergogne. Crede sempre che sia destinata al vicino.
In questa edizione al teatro Quirino, diretta con mano felicissima da Filippo Dini, Michel è interpretato da Cosimo Grilli, il quale fa una cosa molto giusta, chiaramente voluta dal regista: esagera. Il giovane è viziatissimo, amato quasi incestuosamente da una madre, Yvonne, così morbosa che lo stesso Freud sarebbe forse rimasto sconcertato e dubbioso riguardo la capacità della psicanalisi d’essere efficace, in un caso simile, almeno quanto il borotalco sulla pelle d’un lebbroso. Tutto qui è esagerato, la situazione, i personaggi, i dialoghi, non dev’esserci ritegno, questa famiglia è come uno spettacolo di circo sconvolto per i leoni scappati dalla gabbia. Il padre di Michel, Georges vive una storia clandestina con una giovane donna, Madeleine; la zia Léonie è sempre innamorata di Georges malgrado la sorella Yvonne gliel’abbia sottratto in gioventù; Michel incontra casualmente Madeleine e, com’è normale fra giovani, i due si innamorano l’uno dell’altra. Naturalmente, il figlio e il padre non sanno di essere amanti della stessa ragazza. A questo punto non resta che accendere un cerino per fare scoppiare tutto assieme alla solita questione di soldi. Presso la borghesia, il denaro ha sostituito l’onore della nobiltà, la dignità dei poveri e la misericordia dei cristiani.
La vicenda è al contempo verosimile e inverosimile, nel senso che nella vita coincidenze simili non avvengono epperò le coincidenze avvengono. Il capolavoro di Cocteau è una commedia che poi è una farsa indi anche una tragedia. Lo conferma l’autore in persona nella sua prima prefazione al testo: “Ho voluto tentare qui un dramma che sia una commedia e il cui centro stesso sarebbe un nodo di vaudeville se la successione delle scene e il meccanismo dei personaggi non fossero drammatici”. Poi però aggiunge un’osservazione interessante: “I ruoli devono essere sacrificati alla pièce e servirla, non servirsene”. Bene, quindi Dini ha sbagliato la regia perché nel suo spettacolo i ruoli appaiono quasi soverchianti rispetto alla storia, addirittura si va oltre e gli attori spingono i personaggi al punto che paiono quasi volere uscire di teatro per andare a scompigliare la strada fuori del Quirino, via delle Vergini. Però in una seconda prefazione Cocteau afferma: “Provai a scrivere una pièce che, lungi dal servire come pretesto a una messinscena, servisse da pretesto a dei grandi attori”. Allora Dini ha ragione e il sospetto è che non mandi i suoi bravissimi interpreti, compreso se stesso nel ruolo di Georges, a recitare il bailamme di questa famiglia in mezzo alla strada solo perché i tric trac che esplodono in uno spazio chiuso fanno botti più forti. L’idea quindi è di caricare i personaggi facendo in modo che la situazione diventi folle restando tuttavia verosimile (il verosimile del possibile), tanto poi la vicenda, che è solida, seguirà: “L’intendance suivra” diceva Napoleone e pure De Gaulle che nel ’46 è presidente del governo provvisorio e in quell’anno finalmente Les parents terribles va in scena al théâtre du Gymnase con Serge Reggiani nel ruolo di Michel senza più rischiare la censura perché la Francia è libera. Libera anche l’Italia e Luchino Visconti allestisce il dramma addirittura prima, nel febbraio ’45, a guerra non ancora conclusa, con Andreina Pagnani, Rina Morelli, Gino Cervi, un giovanissimo Antonio Pierfederici. Compagnia magnifica e titolo sbagliato perché “parents” è un falso amico e significa “genitori” per cui il titolo corretto in italiano sarebbe “I genitori terribili”. Ma ormai è andata così, quod fecit Luchino, lux fecit. Si può sempre sostenere che Léonie in quanto zia è una parente e parimenti gli altri rispetto a lei (nipote, sorella, cognato). Gli snodi dell’azione passano proprio da Léonie, interpretata da Milvia Marigliano che nel personaggio ha trovato un vestito d’alta sartoria tagliato esattamente a sua misura. Non si capisce bene che ci fa Léonie in quella famiglia, ha sempre in mente di riconquistare Georges, ma non volge la sua capacità d’intrigo a proprio favore, c’è gente nella vita che non riesce a giocare per il proprio profitto ma per quello degli altri, e così la zitella s’industria a proteggere l’amore fra i giovani. Li salverà la vecchia zia, signora deliziosa che si fa voler bene dal pubblico come le servette della commedia settecentesca. Léonie è ruolo più d’ogni altro di questa pièce scritto per attrice d’alto rango perché ha una pericolosa indefinitezza ch’è la forza del personaggio ma la debolezza dell’interprete. Non è chiara la sua posizione in quella famiglia di matti, anzi in teoria i suoi trascorsi con Georges ostano. Ma la Marigliano trova il punto drammaturgico e teatrale di Léonie: essere una forza ordinatrice del caos e l’unica a detenere la soluzione del dramma. Poi nell’epilogo verrà tradita dall’autore stesso, il quale conosce molto bene il teatro greco e dopo la commedia, la farsa, il vaudeville, tocca la tragedia. Dimostra così che il genio può combinare quello che gli pare e nel frattempo ha giocato a fare della perbenista Yvonne una versione moderna e nevrastenica di Giocasta, di Michel un Edipuccio puerile e stizzoso. La prima è interpretata da Mariangela Granelli che senza squinternarsi interpretativamente porta il personaggio al diapason di una frenesia e di una morbosità grottesche fino a un mammismo fanatico, invasato. Grilli nel ruolo del figlio ha in un certo modo una responsabilità anche sulla prova di Giulia Briata che fa Madeleine perché se lui non riesce a stare con un piede solo dentro due scarpe, l’amata e la madre, lei rischia di ritrovarsi sbilanciata nell’equilibrio in cui tenere il personaggio fra la sua sostanziale onestà e le accuse di falsità giustificate dalla situazione. La giovane pronuncia una battuta fondamentale per impostare il carattere e la sua relazione con i due amanti: “Il cuore non è così semplice, Michel. Amo solo te, ma amo Georges”. Una punta di spillo sulla quale si regge tutta l’impalcatura del dramma. Georges è la parte che il regista ha riservato per sé non facilitandosi certo il compito perché il personaggio è ingrato, irrazionale, odioso addirittura, privo anche della ridicolaggine che caratterizza i vecchi libidinosi della commedia classica. Dini non ne ha paura, non cerca di migliorarlo, sacrifica il ruolo e se stesso alla pièce, come vuole Cocteau nella prima prefazione.
Le scene di Maria Spazzi non rispettano esattamente quanto immaginato dall’autore nelle didascalie, non ci sono per esempio le porte da sbattere che Cocteau considera un dettaglio obbligatorio tanto che Léonie nell’originale dice varie volte: “Questa è la casa delle porte che sbattono”. Pazienza, le scene assolvono al compito: una camera da letto in subbuglio come un campo di battaglia per questa famiglia di scervellati, un salotto ordinato per la casa di Madeleine, l’unica figura romantica eppure logica.
Un dettaglio della regia forse spiega sinteticamente come si realizza una messinscena illusoriamente da teatro borghese e invece, se non avanguardista, certamente disobbediente alle regole: due sgabelli che fanno anche da comodini e da tavolinetti portalampade vengono usati dagli attori come sedute da portarsi appresso a destra e a manca secondo necessità. Fingere il conformismo per fare di testa propria: questo dev’essere del buon Cocteau.

Marcantonio Lucidi,
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