“I sandali di Elisa Claps” di e con Ulderico Pesce. Al teatro di Villa Lazzaroni di Roma
Storia di italiani pessima gente
Il 12 settembre 1993, la studentessa sedicenne di Potenza Elisa Claps scomparve e il 17 marzo 2010 il suo cadavere fu ritrovato nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità del capoluogo lucano. Narratore teatrale e inchiestista più bravo di un giornalista investigativo iscritto all’albo professionale, Ulderico Pesce ripercorre gli avvenimenti fra queste due date e oltre nel suo monologo, I sandali di Elisa Claps, andato in scena domenica scorsa a Roma al teatro di Villa Lazzaroni.
Il fatto di cronaca nera è noto, la vicenda processuale conclusa con la condanna a trent’anni dell’assassino, Danilo Restivo, attualmente rinchiuso in un carcere inglese a scontare una pena di quarant’anni per l’omicidio di un’altra donna, Heather Barnett. Ciò che interessa Pesce non è tanto la figura dell’assassino, che merita l’attenzione solo delle guardie carcerarie, quanto le forze, i potentati, le cricche che hanno coperto e protetto Restivo. Lo spettacolo non propone un’investigazione poliziesca ma un’indagine ambientale su una provincia meridionale nella quale vige il tribalismo amorale e le camarille collusive grufolano nel trogolo delle complicità.
L’attore solista interpreta il padre di Elisa, Antonio, tabaccaio di mestiere, il quale racconta una tristissima vicenda che copre di vergogna la Chiesa non meno d’una cerchia demoniaca di preti pedofili e discredita una magistratura impegnata nell’amministrazione dell’ingiustizia. Viene fuori una storia di italiani pessima gente che con la complicità di soggetti inseriti nelle istituzioni schiaccia una famiglia di persone perbene, di vittime che chiedono verità e giustizia. Per la grande sofferenza, Antonio si ammala di cuore, poi di cancro, però fa in tempo a vedere condannata la belva che ha ucciso sua figlia.
Esponente maggiore del teatro di narrazione italiano, Ulderico Pesce è un artista di forte impegno sociale mosso da un senso morale che lo rende in scena molto caloroso e performante. Vive la scena come una missione, si sente in lui l’urgenza di comunicare, di denunciare, di fare teatro come forma di lotta contro i soprusi, le prevaricazioni, gli abusi del potere. Ha un volto da caratterista e un’espressione gentile all’apparenza inoffensiva che si contrappone alla sua tenacia nella ricerca dei fatti, alla precisione del racconto, alla mira con la quale colpisce il bersaglio. Il narratore non si scandalizza, non si indigna e bene fa perché l’indignazione è inutile, retorica e noiosa, tutto sommato piuttosto immorale nella sua passività. Pesce invece intende il teatro come un’attività etica, quindi politica. La politica senza etica è psicotica.