“Due donne che ballano” di Josep Maria Benet i Jornet, regia di Veronica Cruciani, con Maria Paiato e Arianna Scommegna
Navi femminili che beccheggiano nella vita
Maria Paiato e Arianna Scommegna hanno trasformato in un capolavoro un testo che capolavoro non è, anche se Due donne che ballano del catalano Josep Maria Benet i Jornet ha un gran finale e offre due ruoli femminili dalle notevoli potenzialità. La regista Veronica Cruciani ha una mano così abile da aver nascosto tutti i punti in cui lo sviluppo del dramma è imperfetto e ha permesso alle due attrici di dispiegare senza ostacoli uno spettacolo magnifico per intelligenza interpretativa.
Paiato e Scommegna sono due attrici bravissime, fra le migliori in circolazione in Italia, pochissimi artisti di teatro sono al loro livello. Possiedono una potenza espressiva e al contempo un controllo dei propri mezzi che permette loro di non sbagliare un’intonazione o un movimento, mai troppo né troppo poco, di essere sempre centrate rispetto al ruolo. E costruiscono i loro personaggi in modo pieno, totale, apparentemente senza fatica, secondo un’idea dell’arte dell’attore come sforzo che non si deve vedere. Talmente appaiono sicure, levigate nella recitazione, da non entrare in competizione fra loro perché non hanno bisogno di dimostrare nulla. Eccitano nello spettatore il piacere di osservare la trama fittissima dei dettagli, dei particolari nei movimenti e nella voce, dei cangiamenti mimici. Lavorano su sottili equilibri e soltanto un’acribia critica, che però è un giocoso puntiglio da riservare esclusivamente ai migliori, fa supporre che all’inizio della rappresentazione Scommegna abbia una leggera esitazione, un attimo in cui cerca il personaggio della sua badante ad ore di una vecchia signora che vive sola, praticamente abbandonata dai figli. Però l’anziana donna della Paiato è già lì, perfetta, cattiva, catafratta nel livore di una vita che non le ha dato niente e anzi ha tolto, ha tolto, ha tolto. Paiato è un punto fermo, un diapason per la collega che immediatamente accorda la propria interpretazione. La vecchia lancia battute ferme, feroci, inappellabili alla più giovane che la deve accudire, somministrarle i farmaci, pulire la casa, e che serba in cuor suo un segreto terribile, una tragedia assoluta che verrà fuori piano piano durante questa lunga danza di anime. È la danza delle parole e della solitudine, il beccheggio e il rollio nella vita di due piccole navi femminili, così vicine adesso da urtarsi nel mare mosso della memoria, del passato, di ciò che non doveva essere ed è stato. La ferocia non è cattiveria, è annaspo, affanno, sopravvivenza.
Cruciani in sede di regia lavora con grande attenzione sulla prossemica delle due interpreti, ossia sulla distanza spaziale che ognuna frappone fra sé e l’altra. Lentamente la distanza si riduce per accompagnare l’evoluzione dei rapporti fra le due donne fino a scomparire nella scena finale del ballo, tragica ma montata con umorismo. Questa è una regia che pensa e non lascia nulla al caso. Sa di avere due attrici di classe superiore, di conseguenza chiede loro cose difficili, ma le vuole libere di creare e costruisce attorno a loro le migliori condizioni possibili. Per esempio le luci, affidate a Gianni Staropoli: Cruciani le chiede naturali d’un sole un po’ velato che entra da una finestra d’un cortile e costruisce ombre di infissi sul muro, sopra una biblioteca in legno dove sono stipati i giornalini di fumetti che costituiscono la fissazione della vecchia signora. L’ambiente è un tinello semplice, spoglio e popolare ma non miserabile perché la storia delle due donne non deve essere inquinata dalla retorica della povertà. Equilibrio, filo di rasoio sul quale camminano anche i costumi delle due protagoniste, vestiti che paiono comprati alla Upim ma non sulle bancarelle. Così nella modestia d’un appartamento qualunque d’un condominio qualsiasi d’una città come tante è tutto pronto per due persone che nel loro anonimato celano la grande avventura della vita e della morte, immensa per tutti noi indistintamente, pazzi e savi, forti e deboli, in alto come in basso.