“Il nuotatore di Auschwitz”, testo e regia di Luca De Bei. Con Raoul Bova. Al teatro Parioli di Roma

IL NUOTATORE DI AUSCHWITZ

I fantasmi dell’operazione

Stasera Boh e Bah hanno deciso di andare al teatro Parioli ad assistere allo spettacolo di un attore noto che si chiama Raoul Bova e fa un monologo intitolato Il nuotatore di Auschwitz. Generalmente si mettono a mezz’aria ad osservare ma c’è poco pubblico in sala, così stavolta stanno appollaiati sugli schienali di un paio di poltrone che se uno potesse vederli parrebbero due Eta Beta in bilico. Siccome i fantasmi dei teatri parlano con voci  inudibili ai vivi, Boh e Bah possono chiacchierare e commentare l’azione scenica  senza disturbare gli altri spettatori
Boh: Affascinante, vero?
Bah: L’abisso è sempre affascinante.
Boh: E vabbè poverino, fa il cinema, fa le fiction, per il teatro ci vuole pratica.
Bah: Guardagli le mani, sembra che non sappia dove metterle, le alza davanti alla faccia, le sventola, gesticola, si tocca il naso.
Boh: Avrà il raffreddore, siamo a dicembre.
Bah: Te lo ricordi quando faceva Pietro Maso, il killer che uccise i genitori a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona?
Boh: Come no, era il 1993, mi pare, quando infestavamo il teatro Colosseo. Anni gloriosi, su quel palcoscenico passava di tutto, inferno e paradiso.
Bah: Bravo. Bova interpretava l’assassino, tutto monocorde. Piaceva alle ragazze ma stonava le battute.
Boh: All’epoca debuttava. Eddai Bah, sii clemente.
Bah: Non mi pare che in trent’anni sia molto migliorato.
Boh: Però sei cattivo tu.
Bah: E sentilo, sarà la decima volta che inciampa sulle parole.
Boh: Un po’ di misericordia, sei sempre così tranchant. Il testo non aiuta. Ti voglio vedere a tirare su questa battuta: “Imparare a nuotare è come tornare in quel ventre materno”. Ci vorrebbe un Vittorio Gassman.
Bah: Eeehh, signora mia, non ci sono più gli attori di una volta.
Boh: Quest’altra è da incidere nel marmo: “Quando nasce mia figlia, sento l’assurdità della guerra”.
Bah: Ma chi ha scritto questo monologo?
Boh: Luca De Bei, qui fa anche il regista. Non è consigliabile mettere in scena i propri testi.
Bah: Infatti ha messo in scena due leggii, uno per la storia del nuotatore ebreo francese Alfred Nakache e l’altro per Viktor E. Frankl che scrisse “Uno psicologo nei lager”. E ha detto a Bova di passare ogni tanto da un leggìo all’altro. I leggii servono per le letture, non per gli spettacoli, lo dice la parola.
Boh: Ha pure messo i video.
Bah: Neanche quelli posso vedere, sono una dichiarazione di sfiducia nelle capacità evocative del teatro. E noi di evocazioni siamo esperti.
Boh: Però la storia non sarebbe neanche male. Nakache e Frankl vengono deportati ad Auschwitz ma sopravvivono grazie alla determinazione, alla forza di volontà. Poi però senti una battuta come “Lo sport può davvero unire, creare la solidarietà, combattere la follia del potere” e ti casca il lenzuolo.
Bah: Anche tu sei perfido. Maltrattare gli autori italiani è un vecchio sport. Aiutali piuttosto se ti riesce.
Boh: E come?
Bah: Facendo il ghost writer.
Boh: Attento, sta per dire l’ultima battuta (Pausa. Ascoltano: “Ciò che vince e rimane è solo l’amore.”)
Bah: Avrei bisogno di vedere un po’ di teatro, se possibile.
Boh: Danno un Re Lear di tre ore e mezza all’Argentina con Gabriele Lavia.
Bah: Andiamo al volo. Conosco un palchetto comodissimo.

Marcantonio Lucidi,
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