“1984” di George Orwell, adattamento di Robert Icke e Duncan Macmillan, regia di Giancarlo Nicoletti. Con Ninni Bruschetta, Woody Neri, Violante Placido. Al Quirino di Roma

1984

L’amore ai tempi del potere

Un esempio del modo di comunicare del ministero della Verità in cui lavora Winston Smith, il protagonista di 1984, è offerto dal governo italiano che – afferma – aumenterà le pensioni minime. Da 614,77 euro a 617,90, tre euro in più. Oggi il Grande Fratello ha alzato la razione di cioccolato a 20 grammi, anche ieri e domani e ogni giorno la alza a 20 grammi. Quindi la razione resta sempre la stessa. I politici hanno il brutto vizio sia nel romanzo di George Orwell che nella realtà di distorcere i fatti, di prendere in giro la gente per divorare gli esseri umani con maggior agio.
È mediante il controllo della lingua che passa l’esercizio del potere, aspetto della distopia orwelliana che non sfugge agli adattatori teatrale di 1984, Robert Icke e Duncan Macmillan, né a Giancarlo Nicoletti, regista dell’edizione italiana in scena alla Quirino di Roma. La neolingua orwelliana pensata per impedire di pensare – secondo l’assioma che la parola contiene il ragionare ed è lo strumento della critica – corrisponde nella realtà al catastrofico impoverimento lessicale che i politici incessantemente promuovono attraverso il media più diffuso, la televisione (campo di aspre battaglie fra loro), e il sistema dell’istruzione che ogni governo si industria a smantellare, chiamando la distruzione “riforma”. Avendo evidentemente anch’essi letto che in Oceania, la nazione sempre in guerra del romanzo, esiste il ministero della Pace, definiscono i loro conflitti bellici “missioni di pace”. Usano invece il termine “populista” per chi, prendendo esempio da loro, restringe a sua volta il vocabolario chiamandoli “maiali”.
Assai modernamente è il potere l’argomento della rappresentazione – il potere svuotato di giustificazione ideologica e di ambizione palingenetica – ora che è scomparso il totalitarismo sovietico, individuato dalle analisi critiche del romanzo come il bersaglio di Orwell (anche se lo scrittore rivolgeva la sua attenzione ad ambedue le grandi dittature novecentesche, stalinista e nazista). Il potere è il tema universale che rende 1984 un’opera intemporale, come un dramma di Shakespeare o un romanzo di Tolstoj, che tutte le generazioni devono leggere per tenere alta la guardia ed evitare di essere scuoiate dalle oligarchie. È consolatorio vedere in platea al Quirino numerose file di giovani che assistono a un racconto scritto nel 1948, quando i loro genitori non erano nati e a volte nemmeno i nonni. File che non sono fili di marionette.
Winston Smith, interpretato da Woody Neri, è un burocrate anonimo incaricato di correggere libri e giornali per contribuire all’incessante revisionismo storico imposto dal partito unico e dal dittatore, il Grande Fratello del quale nulla si sa. Winston è la vittima predestinata perché ha il difetto giudicato più grave in questa società, porsi delle domande. Guasto d’una mente mal condizionata colpevole di scrivere un diario, sintomo di pensiero e di individualismo, e dalla quale discendono altre tare gravissime: ragionare in modo logico quando invece il partito pretende l’esercizio del bispensiero che impedisce di rilevare le contraddizioni della propaganda grazie all’addestramenti dell’individuo ad accettare affermazioni fra loro contrarie; amare una donna, attività sovversiva vietatissima perché l’unico amore consentito è verso il Grande Fratello e il sesso è solo a fini riproduttivi.
Winston si innamora di Julia, interpretata da Violante Placido. Insieme decidono di combattere il partito entrando in un’organizzazione clandestina chiamata la Fratellanza di cui fa parte un alto funzionario del partito, O’Brien, all’apparenza un nemico del sistema. Ma quando i due amanti vengono arrestati dalla psicopolizia, è proprio O’Brien, un cacciatore di criminali del pensiero, a interrogarli e torturarli fisicamente e psicologicamente. Il ruolo del cattivo è affidato a un ottimo Ninni Bruschetta, volto e voce inquietanti, che riveste il personaggio di una calma feroce, aguzzino senza fretta con lo scopo di svuotare Winston da ogni forma di pensiero e di dissenso per ricondizionarlo nella dedizione assoluta al Grande Fratello.
Sulla lunga scena della tortura, il regista non ha remore: urla e sangue per Winston, paternalismo glaciale e disumano per O’Brien, meticoloso funzionario del terrore che serve il suo padrone, il partito, il quale ha come unico fine il potere in se stesso. Al di là persino di un suo ipotetico coinvolgimento ideologico, il torturatore afferma automaticamente la superiorità del Grande Fratello. Le sue opinioni non hanno importanza: come il fine del potere è il potere, così l’obbiettivo del compito di O’ Brien è il compito stesso che porterà all’inevitabile risultato della soppressione di Winston ma solo dopo il suo ricondizionamento.
La scenografia di Alessandro Chiti, le luci stroboscopiche, gli effetti sonori improvvisi, le telecamere a circuito chiuso e le videoproiezioni qui perfettamente giustificate visto che nel romanzo il partito controlla ogni individuo attraverso i televisori, tutto lo spettacolo rimanda a un ambiente nightmarish, direbbero gli inglesi, da incubo. Orwell però scrive 1984 in uno stile classico ed è proprio il contrasto fra la forma letteraria tradizionale e il contenuto distopico a moltiplicare la terribilità del racconto. La teatralizzazione del romanzo di Orwell induce comprensibilmente ad esasperare l’immagine scenica però la quiete di un cimitero può apparire più allarmante di una rissa di strada. Certamente la regia, scelta la cifra stilistica, organizza lo spettacolo con abilità, senza lungaggini e tempi morti, riesce a dare un segno visuale al racconto orwelliano, eccedendo al momento delle sevizie in un realismo truculento quando invece l’orrore si moltiplica (come l’erotismo) più nell’intravisto che nell’esibito. Lo spettacolo è una buona macchina teatrale montata a regola d’arte nella quale gli attori stanno da criceti nella ruota che a vederli non si sa se sono loro a farla girare o la ruota a farli correre. Assieme all’ottimo Ninni Bruschetta, molto preciso nel controllo di un personaggio estremo da tenere fermamente al di qua della caricatura, lavorano Violante Placido e Woody Neri applauditi anche loro da una platea che ne ha riconosciuto la bravura e una compagnia di altri sei attori tutti messi dalla regia nelle migliori condizioni. Pubblico che s’attarda in conversari sullo spettacolo e sul romanzo di Orwell fuori del teatro ma senza troppa ansia, ché tanto in Italia la distopia di 1984 non sembra realizzabile. La natura generalmente trogloditica e miserabile dei nostri politici impedisce loro, a parte qualche pericolosa eccezione, di apprezzare il diabolico piacere del potere per il potere e invece li arrazza al potere per il denaro. Da noi il politico è come il maiale, mangia tutto, anche il totalitarismo.

Marcantonio Lucidi,
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