“Otello” di William Shakespeare, regia e adattamento di Luigi Siracusa, con Francesco Sferrazza Papa, Gianluigi Rodrigues, Zoe Zolferin, Laurence Mazzoni, Eleonora Pace, Luca Carbone. Alla Cometa Off di Roma
Il più geloso è l’altro
Dell’Otello shakespeariano adattato e diretto da Luigi Siracusa alla Cometa Off di Roma, si nota quasi subito una disarmonia recitativa fra Gianluigi Rodrigues nel ruolo del titolo e gli altri cinque interpreti accomunati dalla loro formazione in Accademia nazionale d’arte drammatica: Francesco Sferrazza Papa (Iago), Zoe Zolferino (Desdemona), Laurence Mazzoni (Cassio), Eleonora Pace (Emilia) e Luca Carbone (Roderigo). Rodrigues invece esce da Teatro Azione, la scuola di Cristiano Censi e Isabella Del Bianco. La differenza fra i due percorsi non sta nella qualità e anzi nulla prova che la “Silvio D’amico” sia migliore. Sta nel metodo: l’accademia nazionale prepara gli allievi in modo tradizionale (malgrado sia diventata una specie di seminarificio) e fornisce al sistema produttivo professionisti addestrati per le necessità della regia. Teatro Azione si occupa primieramente dell’attore in quanto artista e lo introduce alla biomeccanica e al Feldenkrais. Sono questioni tecniche che nessuno chiede allo spettatore di sapere ma che parimenti, non devono produrre in lui un’impressione di distanza stilistica ed estetica fra gli interpreti in scena. Il compito di una regia è rendere armoniosi nell’atto teatrale artisti di diverso stile, altrimenti succede come in questo caso che Rodrigues sembra estraneo al resto della compagine. Approccia il personaggio fisicamente attraverso il movimento e gli atteggiamenti corporei in una ricerca che appare sempre in fieri mentre gli accademici hanno fissato le loro parti e recitano in modo classico, impostato, approccio che non è certo un male per fare una tragedia del bardo in quanto offre ai giovani attori un’armatura tecnica di protezione.
Lo spettacolo di Siracusa è un Otello in scala ridotta piuttosto coraggioso che vuole raggiungere la stessa intensità drammatica dell’originale portando sulla scena assai contenuta della Cometa Off solo sei dei quattordici personaggi previsti da Shakespeare, senza contare una folla di senatori, marinai, araldi, ufficiali, gentiluomini, musici e gente del seguito. E quei sei sono già parecchi per questo palcoscenico.
Naturalmente in una riduzione così importante salta l’intera struttura dell’opera di Shakespeare, il peso delle parti, le gerarchie fra i personaggi, le differenze linguistiche. Per esempio, Iago ha un linguaggio da caserma, Cassio aspira ad elevarsi socialmente e s’abbandona ad infiorettature retoriche, Otello subisce un progressivo involgarimento fino alla disarticolazione del suo nobile eloquio. Questa però è la prima versione di Otello. La seconda è conseguenza del Profanity act del 1606 che multava pesantemente gli attori se usavano il nome di Dio, della Vergine, di Cristo o addirittura alludevano alla fede. Allora Shakespeare riscrive la tragedia, mette i personaggi su un piano linguisticamente più elevato, aggiunge centosessanta nuovi versi e realizza quella che è stata chiamata “la musica verbale di Othello”. Ecco, tutto questo mondo teatrale scompare, resta la cruda vicenda della demoniaca macchinazione di Iago che porta alla distruzione dell’amore fra Otello e Desdemona e alla tragedia finale. La nostalgia per la perfezione e la ricchezza shakespeariane si scontra con l’imperio produttivo che impone il bignami, la scarnificazione dell’opera fino ad ottenere quello scheletrino rachitico che è la trama. Tuttavia il dimagrimento coatto permette a un gruppo di giovani la realizzazione di un sogno teatrale peraltro legittimo perché Otello è una storia di personaggi che hanno suppergiù la stessa età degli attori di questa messinscena. È, come Romeo e Giulietta, una tragedia dell’energia giovanile. Esaltare chi porta l’azione, la centrale elettrica generatrice della corrente che muove il dramma, è fondamentale per una riduzione. L’originale presenta due protagonisti e si capisce dal numero di parole pronunciate da Otello, che corrispondono a un quarto del testo, e da Iago, addirittura un terzo. Nella versione di Siracusa, il satanico intrigante supera il trenta per cento, assurge a protagonista assoluto e non stupirebbe se alla conta dell’adattamento s’avvicinasse alla metà delle parole. La scelta è pienamente giustificata dal fatto che il primo geloso, o meglio l’invidioso, non è Otello ma Iago che resta “l’alfiere di Sua Signoria Mora” mentre Cassio viene promosso a luogotenente del Moro. Rendere Iago il protagonista assoluto consegue da una lettura legittimissima perché il dramma incomincia come una tragedia dell’invidia per concludersi in una tragedia della gelosia.
A questo punto il regista ha stabilito una sua gerarchia dei personaggi – nel quale Otello è indubitabilmente un deuteragonista – e ha in tal modo opportunamente chiarito la sua distribuzione delle carte dove la regina di cuori, Desdemona, sta sul tavolo da gioco ma senza reale valore. Infatti è vestita d’un lungo abito azzurro a indicarne la purezza ma anche a certificare la sua natura astratta di simbolo d’una femminilità gentile ed onesta, esterrefatta ed impotente. Il gioco si svolge fra maschi ed anche l’altra figura femminile, Emilia moglie di Iago, entra molto lentamente nella vicenda, relegata per buona parte della rappresentazione a rasentare i muri della scena ed avere solo successivamente il permesso di partecipare all’azione. È vestita anche lei d’un abito lungo da ricevimento ma nel suo caso blu notte quasi nero, adatto alla circostanza visto che tre dei quattro uomini – Otello, Iago e Cassio – sono in smoking. Allora perché Roderigo è vestito con una normale giacca doppio petto scura e porta (ovviamente) la cravatta e non il papillon? La pignoleria potrebbe sostenere che siccome Cassio indossa uno smoking doppio petto, la giacca di Roderigo è giustificata. Ma se questo è un vernissage della morte, Roderigo è inspiegabilmente underdressed, direbbero gli inglesi.
Il centro della scena è occupato da un letto a due piazze sfatto, segno dell’amore fra Otello e Desdemona. Ma sotto al letto si vedono delle scarpe da ginnastica e un pallone da basket che nulla hanno a che vedere con gli abiti eleganti dei protagonisti, le calzature di cuoio nero lucido degli uomini e le décolletés con tacchi delle donne. La spiegazione viene dalle note di regia: “L’ispirazione ha origine in My Bed, opera dell’artista inglese Tracey Emin. L’installazione raggruppa tutti quegli oggetti che, nel 1998, rappresentavano la vita dell’artista inglese e la fine della sua relazione sentimentale. È l’immagine di un letto disfatto, la fotografia di un istante che rappresenta un capitolo della sua esistenza”. Se per capire uno spettacolo si deve ricorrere alle note di regia, significa che il regista si spiega nelle note ma non nello spettacolo. Il teatro diversamente dai farmaci non prevede il bugiardino.
Assai più abile registicamente è l’uso del famoso fazzoletto che tecnicamente è un elemento del tragico, un oggetto che fa avanzare il dramma (come ad esempio Il teschio di Amleto, il pugnale di Macbeth, la cipolla di Peer Gynt). Arrivato il suo momento, il fazzoletto passa da un personaggio all’altro, Emilia, Iago, Cassio, di nuovo Iago che lo mette nel suo taschino mentre sta di fronte a Otello, ma mai sabota la logica del dramma, chiede invece allo spettatore una sospensione dell’incredulità non a fini narrativi ma simbolici. Il fazzoletto, di colore rosso acceso, assume la valenza di un presagio, annuncia che la tragedia è ormai inevitabile.
Lo spettacolo è tutto giocato sul patto con il pubblico al quale chiede di seguire gli attori sul crinale fra verosimile e non credibile: i sei interpreti attori stanno tutto il tempo in scena quindi in teoria la trappola di Iago non potrebbe scattare perché i personaggi sono sempre presenti, si incontrano quando non dovrebbero, si ascoltano quando non potrebbero. Il regista costruisce lo stile e l’estetica della messinscena sui limiti spaziali d’una ribalta sfavorevole a un allestimento shakespeariano e trasforma con senso del teatro uno svantaggio in opportunità. Non risolve però alcuni problemi di posizionamento degli attori che a volte, e in alcuni momenti importanti, si impallano a vicenda.
Francesco Sferrazza Papa nel ruolo di Iago è un bel cattivo infido, ghignante che potrebbe fare anche il malvagio Riccardo III ed esprime la ferocia codarda degli uomini privi d’anima e onore. Molto brava anche Eleonora Pace che porta la sua Emilia da una condizione marginale, quasi silente, a una dimensione di secondo ruolo femminile intenso, d’una tragicità prima tutta compressa e nel finale esplosiva, disperata. Zoe Zolferino offre una Desdemona a dire il vero un po’ smunta e svigorita che pare timorosa ad entrare nella tragedia come in una vasca d’acqua troppo calda. Tutt’e due bene in parte, Laurence Mazzoni e Luca Carbone interpretano rispettivamente un Cassio pilotato con mestiere nelle varie fasi della tragedia e un Roderigo dalla debolezza di carattere adatta al personaggio. Gianluigi Rodrigues è un Otello di presenza scenica evidente ed efficace ma il ruolo resta imponente anche in questa regia, e l’attore tende a diminuirlo, a togliergli peso per riuscire a sostenerlo.