“La scelta del tempo”, testo e regia di Daniela Giordano, anche interprete assieme a Laura Mazzi, in scena al teatro Le Sedie

La scelta del tempo- Daniela Giordano e Laura Mazzi

La tradotta che parte da Torino

a Milano non si ferma più

Il teatro Le sedie sta in una borgata romana, il Labaro, dalle strade talmente strette e tortuose fra la Flaminia e il Tevere che anche il navigatore satellitare a un certo momento s’imbroglia. È una sala da resistenza teatrale, una trincea culturale in mezzo all’abusivismo edilizio, un teatro che sta come un melograno sotto il cavalcavia d’una superstrada. È un posto suggestivo di per sé che al contempo facilita la vita e la complica a chi vuole mettere in scena uno spettacolo. Poco spazio per muoversi e fare e allestire ma intimo, catacombale, con il brusìo del condizionatore che pare un proiettore cinematografico da pidocchietto anni Sessanta.
Alle Sedie Daniela Giordano ha messo in scena un suo testo sulla guerra, La scelta del tempo, e lo ha interpretato assieme a Laura Mazzi. Il tema è talmente enorme e millenario, gran parte del teatro antico se ne occupa, che l’unica possibilità è trovare una propria linea poetica, da formichine che scavano il loro tunnel nella montagna. La scelta della Giordano è di non mostrare la guerra ma di girarle attorno per quadri: il monologo di un’infermiera, il duetto in rima di donne che stendono sul filo i panni di un bambino che diventerà un soldato; il dialogo fra una ricamatrice e una signora in cerca d’una tovaglia da ventiquattro coperti per riunire attorno al tavolo da pranzo la sua famiglia, famiglia distrutta da lotte interne perché gli uomini possono fare a meno persino delle bombe pur battersi fra loro.
I quadri sono intervallati da un coro, il Chorus familiae costituito da tre generazioni di parenti della Giordano che intonano i canti degli Alpini. La tradotta, per esempio: “La tradotta che parte da Torino / a Milano non si ferma più, / ma la va diretta al Piave, / cimitero della gioventù. / Siam partiti siam partiti in ventisette, / solo in cinque siam tornati qua, / e gli altri ventidue / son morti tutti a San Donà”. Oppure Il testamento del capitano che ha un certo punto fa: “Il primo pezzo alla mia Patria / secondo pezzo al battaglion, / il terzo pezzo alla mia mamma / che si ricordi del suo figliol”. Commovente. Memorie di un’intera generazione divorata dalla 15-18 e col senno di poi forse inutilmente quei “muri di petti” sono caduti per un’Italia che oggi appare molto lontana dai loro sogni.
Giordano è una brava attrice, duttile quanto come regista è schematica. Ritiene che i canti degli Alpini e un testo che parla di mogli, madri, figlie, della sofferenza che la guerra genera attorno a sé, siano bastevoli a caratterizzare il fatto teatrale. Ma il teatro è segnato dalla teatralità. Ossia: sarebbe stato così diverso lo spettacolo se le due attrici si fossero poste dietro a dei leggii a recitare da par loro questa letteratura dialogata (a parte la scena della ricamatrice)? La rappresentazione vive molto dello spazio in cui è stata allestita e soprattutto di una grande tenerezza, di una misericordia nei confronti di questi poveri esseri umani che si ammazzano fra di loro e uccidono di dolore i morti e i vivi. Questo però è sentimento, alto e nobile; per il teatro ci vuole ancora uno sforzo.

Marcantonio Lucidi,
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