“Noi Giuda” scritto e diretto da Angelo Longoni, interpretato da Massimo Ghini. Al teatro Parioli di Roma
La nobiltà del perdono
Il pubblico del teatro Parioli di Roma è di un’educazione encomiabile. Indulgente, paziente, sorridente. Trovarsi in mezzo a una simile platea mentre Massimo Ghini in scena recita il monologo scritto e diretto da Angelo Longoni, Noi Giuda, tranquillizza, placa, induce a un’evangelica bontà in armonia con l’argomento della serata. Giuda il traditore per antonomasia sarebbe in effetti lo strumento necessario per il compimento tragico e salvifico della missione cristica. Non un traditore ma un esecutore al servizio del disegno divino.
Il dibattito sull’iscariota è vasto e complicato, vecchio quanto gli anni che ci separano dal suo suicidio raccontato da Matteo. In tempi recenti, il ritrovamento del Vangelo di Giuda nel 1978 in una caverna a Minya in Egitto ha rinfocolato la discussione su un tema che si ritrova persino in Jesus Christ superstar che è del ’73, precedente alla scoperta. Quando nel corso dell’Ultima cena Gesù annuncia agli apostoli che qualcuno di loro lo tradirà, il Giuda nero del film gli risponde: “Tu vuoi che lo faccia! E se io restassi qua a rovinare le tue ambizioni? Cristo, te lo meriti!”.
Secondo la moda del momento, lo spettacolo è corredato di video di Gianni Del Popolo (mostrano deserti, paesaggi palestinesi, scene di guerra). Quel che conta è l’attore: si vede che Ghini si cimenta per la prima volta da solista in palcoscenico e cerca di avviare carinamente una comunicazione con qualche domanda sui Vangeli a una platea che, benevola, comprensiva, risponde con gentilezza. La magnanimità è una cosa meravigliosa, in special modo quando ci si occupa di questioni evangeliche. L’idea dell’autore e regista è che Giuda, calatosi nel corpo di un attore (che sarebbe appunto Ghini), diletti il pubblico per un’oretta e venti spiegando i motivi che secondo lui lo assolvono dall’accusa di tradimento. Il monologo si sofferma su varie contraddizioni e incongruenze contenute nei Vangeli, le quali notoriamente aprono a questioni di filologia e di esegesi neotestamentaria estremamente erudite e delicate, affrontate però dallo spettacolo mediante battute simpatiche e innocue. D’altronde riuscire a rendere spettacolare (e popolare) la complessità biblica è sfida alla Roberto Benigni.
Alla fine il povero guaglione Giuda esce da questo corpo (di Ghini), liberando al contempo l’eccellentissimo pubblico pronto a far sua, per il traditore e per lo spettacolo, l’inaspettata proposizione di un soldato israeliano leggendario come il generale Moshe Dayan, vincitore della Guerra dei sei giorni, il quale scrisse nella sua autobiografia: “Nulla nella vita è più nobile del perdono”.