“Il pescatore e sua moglie” dei fratelli Grimm, uno spettacolo di Nicole & Martin. Alla Città dell’Altra Economia di Roma
Una fiaba sconfiggerà il drago
Nicole Gubler Schranz e Martin Gubler fondano i loro spettacoli su questa osservazione di Chesterton: “Le fiabe sono più grandi della verità. Non perché ci dicono che i draghi esistono, ma perché ci dicono che i draghi possono essere sconfitti”.
Nicole e Martin, artisti svizzeri, hanno fondato nel 1999 una compagnia itinerante e da venticinque anni vanno in giro per l’Europa con autocarri, carrozzoni di legno e un grande tendone bianco. Arrivano in una città, stavolta a Roma portati dal teatro Le Maschere e dalla Fondazione Culturasì, montano in un giorno e danno spettacoli da loro creati tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm. Il loro teatro – circo, che è qualcosa di più della somma di circo e teatro, campeggia fino a domenica alla Città dell’Altra Economia, in mezzo al grande piazzale di largo Dino Frisullo. Giovedì scorso la matinée proponeva Il pescatore e sua moglie, una favola morale che i due artisti hanno letteralmente riempito di giochi, di sorprese, travestimenti, scherzi, magie, colpi di scena, salti mortali, numeri circensi. Non è semplicemente prosa con un po’ di circo ma una féerie, un mondo fantasmagorico da attraversare portati per mano, anzi per anima, da due artisti che sanno fare di tutto, suonano il flauto, il violino, il contrabbasso, la fisarmonica, cantano, danzano, sono acrobati, giocolieri, equilibristi e funamboli dell’immaginazione. Gente che cammina con i piedi fortemente poggiati sull’aria. È uno spettacolo per adulti accompagnati da bambini, è un apparecchio per la moltiplicazione di scene poetiche. Nicole e Martin costruiscono visioni come si devono scrivere i sonetti, con tecnica perfetta. Pochissimi gli elementi, da teatro povero quindi ricco di invenzioni e stratagemmi. Con una luce blu si costruisce un lago; un cappello ed una lunga canna fanno un pescatore che prende all’amo un pesce magico capace di esaudire ogni desiderio; una grande bandiera celeste fissata alla canna sventola sopra la luce blu e richiama il pesce finché un gong suona a scandire la magia realizzata; due cubi bastano per una dimora regale, con un qualcosa si fa una corona, con un’altra cosa una mitra, un’acrobazia parla dell’ambizione umana di salire sempre più in alto, di volere sempre di più. La sposa stanca di abitare in un tugurio manda suo marito al lago a chiedere al pesce una casetta decente, poi un castello, indi un palazzo, lei vuole diventare regina, imperatrice, persino pontefice e infine Dio stesso. Questi due teatranti, saltimbanchi, scavalca montagne sono abitati da una follia fatata e da un umorismo gentile che racconta del drago. È il drago che vive in noi e che può essere vinto.