“Costellazioni” di Nick Payne, regia di Raphael Tobia Vogel, con Elena Lietti e Pietro Micci. Al teatro Basilica di Roma

Costellazioni

Le stringhe dell’amore

In scena al teatro Basilica di Roma con la regia di Raphael Tobia Vogel, Costellazioni di Nick Payne è un two-hander play, come dicono gli anglosassoni, un dramma a due, in questo caso Marianne e Roland, rinominati nella versione italiana come i loro interpreti, Elena (Lietti) e Pietro (Micci). Chissà perché s’è deciso così, forse per facilitare l’immedesimazione degli attori, la qual cosa farebbe sorridere, naturalmente (anzi, naturalisticamente). Ad usare questo sistema di omonimia fra attori e personaggi, l’importante è evitare di dare le parti di Giulietta e Romeo a Jessica e Kevin. Jessica: O Kevin! Kevin! Perché tu sei Kevin?
La tecnica del two-hander play è relativamente semplice e consta nell’accoppiare due psicologie in contrasto per estrazione sociale, stile di vita, esperienze esistenziali e professionali. Allora Pietro fa l’apicoltore, Elena è una fisica e si occupa di cosmologia, meccanica quantistica e teoria delle stringhe. Si baciano e lei parla di multiverso. Un noto fisico, Brian Greene, spiega il concetto con la semplicità dell’umorismo: “La teoria delle stringhe prevede un multiverso nel quale il nostro universo è una fetta di pane di una grande pagnotta cosmica. Le altre fette sarebbero separate dalla nostra, dislocate in qualche altra dimensione dello spazio”. Nel programma di sala dello spettacolo si legge: “Ciò che facciamo o non facciamo potrebbe essere fatto o non fatto allo stesso modo o in modo diverso in infiniti universi paralleli. Così dice la teoria delle stringhe”. Non si può che avere fiducia. Quindi quando si taglia una pagnotta per ottenere una fetta da infilare nel tostapane e imburrare, si è in uno dei cosmi settentrionali; se la si mette sul fuoco a legna per oliarla si sta in quelli meridionali.
La struttura del dramma di Payne si rifà a stringhe e multiverso, ergo le scene, che sono brevi quadri d’una storia d’amore, si ripetono con variazioni che determinano reazioni e conseguenze diverse. Per esempio: Elena confessa a Pietro di avere fatto sesso con un tizio (questa è la teoria dello stringere) e lui reagisce con una certa calma, nella scena successiva lei confessa a Pietro di avere fatto sesso con un tizio e lui reagisce con una certa furia, in un’altra è invece Pietro che confessa ad Elena di avere fatto sesso con una tipa (perché a destra del semaforo di piazza di Porta San Giovanni, dove sta il teatro, sotto al tombino c’è il nostro universo nel quale vige la legge del taglione). Però quali che siano le varianti sostanzialmente la storia non cambia perché lei comunque s’ammala di cancro: il fato è implacabile, nella tragedia greca è il nemico della libertà umana, qualsiasi cosa si faccia i suoi decreti sono bicchieri rovesciati dentro i quali gli uomini come insetti sbattono contro il vetro. Nietzsche nel famoso aforisma 341 della Gaia scienza: “Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». – Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato?”.
La teoria delle stringhe e il multiverso sono temi molto dibattuti e contestati presso gli esperti, ma il bello dei fisici teorici è che a volte passano dalla fisica alla metafisica e ripropongono agli uomini cose già pensate da esperti del ramo spirituale, filosofi, teologi, mistici, storici delle religioni, yogi e maestri zen. Ancor più sorprendente è il caso di letterati che riprendono le audaci e poetiche visioni del mondo sulle quali i fisici filosofeggiano e riconducono nel campo da cui provengono concetti come la circolarità del tempo, l’eterno ritorno, l’illusorietà del reale, la natura dell’ente, la moltiplicazione delle fette di pane. Però ogni artista è libero di prendere ispirazione dove gli pare e di contribuire alla futura riunificazione delle due grandi vie, la via della materia e quella dello spirito.
Nelle reiterazioni con varianti di Costellazioni, Elena ha un tumore al lobo frontale, mortale in una scena e guaribile in un’altra, si dichiara pronta per il suicidio assistito in un quadro e lo rifiuta nel successivo, ma il fatto è che comincia ad avere difficoltà a scrivere e parlare. Questo è un guaio serio perché gli uomini sono creature del linguaggio. Samuel Beckett: “Cosa volete, signore? Sono le parole; non abbiamo nient’altro”. I due, Elena e Pietro, si sono trovati, si sono parlati, non si sono intesi, si sono lasciati, si sono ripresi, e la storia si può raccontare in molti modi, come nelle novantanove versioni degli Esercizi di stile di Raymond Quéneau pubblicati nel 1947 che descrivono tutti lo stesso episodio: il narratore vede su un autobus affollato di Parigi un giovane uomo che accusa un altro signore di avergli pestato un piede e poi va a sedersi. Due ore dopo il narratore rivede il giovane alla gare Saint-Lazare intento a parlare con un amico, il quale gli dice di aggiungere un bottone al soprabito. Nulla di nuovo quindi in questo universo. Provare in quello accanto.
Il cancro e l’eutanasia non sono affrontati come argomenti, non è un dramma su malattia e morte, ma  come meccanismi che determinano effetti probabilistici, o meglio stocastici. È una triste storia d’amore urbana di classe media, intendendo per media sia il livello sociale che narrativo, che la regia è riuscita a mettere in scena e non mettere in pena anche chiedendo allo scenografo Nicolas Bovey un ambiente minimalista, leggermente più freddo di una sedia in plastica trasparente di Philippe Starck venduta da Kartell. Raphael Tobia Vogel ha evitato riscaldamenti retorici a profitto di un gelo angosciante e ha accentuato dei personaggi l’aspetto diciamo post-lost, persi nel postmoderno, postcontemporaneo, postsociale e postfunzionalista (che sarebbe una contraddizione per un apicoltore). Il risultato è un quadrato delimitato da quattro linee luminose cangianti di colore e illuminato da proiettori che mandano fasci di luce bianca stretti e dritti come tubi. Gli attori lavorano con i microfoni ad archetto, il che in uno spazio dalle dimensioni e dall’acustica del teatro Basilica è utile come accendere una torcia sulla spiaggia a mezzogiorno. Elena Lietti e Pietro Micci sono due professionisti della recitazione affidabili e canonicamente naturalistici. Interpretativamente Lietti più espressiva, Micci più rigido. Lei sciolta e lui stringato: ma si tratta solo di una teoria.

Marcantonio Lucidi,
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