“Il vantone” da Plauto, traduzione del “Miles Gloriosus” di Pier Paolo Pasolini, regia di Nicasio Anzelmo Con Domenico Pantano e Nicolò Giacalone. Al teatro Arcobaleno di Roma
Non basta un décollage per decollare
Nel 1963 Pier Paolo Pasolini traduce, o meglio riscrive in dialetto romanesco il Miles gloriosus di Tito Maccio Plauto e lo intitola Il Vantone. Nello stesso periodo, ha incominciato a preparare Il Vangelo secondo Matteo e due anni prima ha girato Accattone. Quindi, su istigazione di Vittorio Gassman, prende questa commedia scritta alla fine del terzo secolo avanti Cristo e la trasferisce in una borgata romana dalla città in cui l’originale è ambientato, Efeso, dove peraltro Plauto non era mai stato. Tito Maccio (254 a. C. – 184 a. C.) conosce così poco il mondo che in Anfitrione fa di Tebe un porto di mare. Veniva da Sarsina in Umbria ed era di estrazione molto modesta ma non un ex schiavo come l’altro grande commediografo latino, Publio Terenzio Afro, nato a Cartagine nel torno d’anni in cui Plauto scomparve. Terenzio, raffinato ed elegante, amato dai salotti intellettuali della Roma del II secolo a. C., dopo i successi delle sue commedie partì per la Grecia – dove morì appena ventisettenne – a cercare le commedie di Menandro e a perfezionare la propria tecnica drammaturgica. Plauto a trent’anni faceva ancora il garzone d’un fornaio, viveva in mezzo alla plebe romana e quando, memore di basse esperienze teatrali di provincia in gioventù, incomincia a scrivere, mette giù dialoghi violenti, grossi, beffardi, osceni (però metricamente molto vari e di ottima fattura).
Ovviamente Pasolini trova dentro il Miles Gloriosus, che è il prototipo di tutti i Capitani spagnoli e i Capitan Spaventa della Commedia dell’Arte, un mondo proletario (per usare una parola anacronistica ai tempi dell’Urbe plautina ma corretta per quella pasoliniana) in cui la beffa, la presa per i fondelli, lo sgarbo pesante, sono occasioni imperdibili per lo sghignazzo. Tuttavia in questa farsa c’è un’umanità – nel significato di genere umano e di sentimento di solidarietà e di comprensione verso il prossimo – ch’è fatta di giovani innamorati, di vecchi saggi, di servi astuti e giocosi, di donne villane ma amabili, di padroni bifolchi e vanagloriosi. Allora si può trasformare una farsa in una commedia sociale. Per farlo però ci vuole un regista che lavori e raffini la satira, termine derivante da lanx satura, piatto contadinesco che conteneva di tutto un po’ da mangiare nelle feste campagnole e anche composto di primizie della frutta da offrire agli dèi. Quindi non solo cavoli bolliti. Ci vuole un regista insomma che tragga ciò a cui plausibilmente pensava Pasolini, uno studio di costume sostenuto da un’azione costruita su una beffa feroce del servo Palestrione ai danni del borioso e lascivo Pirgopolinice con l’intento benevolo di salvare l’amore fra il giovane Pleusicle e la bella Filocomasio. Infatti il testo s’abbandona sovente a espressioni volgari e a un romanesco greve, però è scandito da doppi settenari rimati. Quindi chiede di affrontare la contraddizione dell’unione fra la beceraggine e la raffinatezza per superarla.
Non basta che la scenografa del Vantone in cartellone all’Arcobaleno di Roma, Angela Gallaro Goracci, allestisca due cubi a mo’ di baracca di periferia romana ricoperti di décollages alla Mimmo Rotella. Perché poi la regia di Nicasio Anzelmo sembra chiedere solo una cosa ai suoi interpreti: di spingere, spingere e ancora spingere verso il basso, il grossolano, l’esagerazione. È facile fare plebea la plebe, molto più difficile trasformare il gesto dell’ombrello in una dichiarazione politica. Di Gallarano Goracci anche i costumi da figli dei fiori, anche questo un segno, l’indicazione di un’ipotesi registica e interpretativa che però non viene realizzata, un po’ come mettere un pianoforte in scena senza che qualcuno lo suoni. A Domenico Pantano il ruolo di Pirgopolinice mentre Nicolò Giacalone (del quale si nota l’energia) fa Palestrione. Assieme a loro Giovanni Di Lonardo, Paolo Ricchi, Fatima Romina Ali, Giacomo Mattia, Anna Lisa Amodio, Claudia Salvatore.