“Dobbiamo parlare”, commedia teatrale e cinematografica con Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese e Sergio Rubini

Dobbiamo parlare

Interno notte a casa vostra

Di commedie sulla coppia che scoppia e non scoppietta più son pieni gli scaffali delle biblioteche teatrali. C’è di tutto, a tutte le latitudini, una lista interminabile di titoli. Solo per citarne due particolarmente riusciti, il tardo ottocentesco I Boulingrin del francese Georges Courteline e il delizioso Chi ha paura di Virginia Woolf? del novecentesco statunitense Edward Albee. Ai tempi d’oro del femminismo teatrale italiano anni Settanta, quando il privato era politico, se n’ebbe fin troppo ricca messe sicché a quei tempi se la coppia scoppiava il troppo stroppiava.
Ora Sergio Rubini ha scritto assieme a Carla Cavalluzzi e Diego De Silva la storia di due coppie in un interno infernale, intitolata Dobbiamo parlare, di cui ha diretto la versione cinematografica attualmente in sala e la messinscena teatrale in questi giorni replicata all’Ambra Jovinelli. Il film e la pièce sono similissimi, le battute praticamente identiche – anche se nel primo caso la commedia si rivela più amara e a teatro più brillante – ed invariato il cast: Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese e lo stesso Rubini. L’esperimento teatral-cinematografico è interessante per osservare, a parità di testo, quali sono le differenze nella prova degli attori, nel comportamento del pubblico e come il mezzo condiziona gli uni e gli altri. In questo caso la supremazia della scena è evidente: non solo il pubblico dall’Ambra ride e si diverte assai di più di quello del cinema, ma circolano sulla ribalta una libertà e di conseguenza una giocosità che esaltano la commedia e ne accentuano gli aspetti comici e satirici di critica del costume. Vero che la scena fissa di un interno/notte premia il mezzo teatrale però quel che viene fuori, contrariamente al comune sentire, sono la superiorità del teatro e della sua gamma di possibilità interpretative ed evocative. È la sfida fra un sogno e un miraggio. Fabrizio Bentivoglio, per esempio, vocalmente potente, il più sensibile dei quattro alle esigenze sonore di una sala teatrale, sulla scena possiede una velocità, un movimento, dei tempi di battuta, una ricchezza di espressioni e di toni che il mezzo cinematografico nel suo caso addirittura reprime. Fenomeno che tocca meno Sergio Rubini, il quale fin dai suoi esordi si è costruito una maschera meridionale alquanto statica – più semplice da inquadrare al cinema nel contesto di una commedia – di eterno ragazzo impacciato e ritroso che lavora sulla sottrazione, sull’esserci ma non troppo, anzi meglio non esserci proprio ma visto che son qui ci sto. Maria Pia Calzone s’avvantaggia della sua presenza scenica ma a teatro non la sfrutta fino in fondo evidentemente perché è trattenuta da un’idea corale dello spettacolo, mentre la versione cinematografica, anche per via del montaggio, le offre più protagonismo, più forza nelle inquadrature. Isabella Ragonese è invece l’interprete che meno buca lo schermo mentre in scena ha dei momenti suoi intimistici che s’attagliano al ruolo e permettono cambi di ritmo alla rappresentazione.
Così caratterizzati, con un certo equilibrio fra loro, i quattro personaggi formano un quadretto tipico della middle class danarosa che abita Roma: Alfredo (Bentivoglio) e Costanza (Calzone) sono un cardiochirurgo e una dermatologa sposati e in lotta per una faccenda di tradimenti. Per un’intera notte i due occupano letteralmente l’appartamento dei loro cari amici Vanni (Rubini), scrittore cinquantenne affermato, e Linda (Ragonese), la sua trentenne compagna e ghostwriter.
La drammaturgia racconta l’inarrestabile caduta di queste due coppie e il progressivo trasferimento della crisi dei due medici sui due scrittori. Comiche sono naturalmente le rivendicazioni, i rinfacci, le piccinerie, le fandonie che i quattro si lanciano l’un l’altro fino al sabotaggio dell’amore e dell’amicizia. Roba sostanzialmente ordinaria ma, malgrado l’eccessiva lunghezza della messinscena (due ore, un’evitabile mezz’ora in più del film), è il modo con cui viene montata e detta che ha generato il gradimento del pubblico l’altra sera all’Ambra Jovinelli. E anche quel certo stile della conversazione all’italiana che alterna proposizioni gravissime e capitomboli nelle facezie.

Marcantonio Lucidi,
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