“Schiava di Picasso” di Osvaldo Guerrieri, regia di Blas Roca Rey che dirige Monica Rogledi. In scena anche la cantante Barbara Cestoni. Al teatro Off Off di Roma

Schiava di Picasso

Che cosa resta di Dora Maar

Dora Maar è stata una donna molto fortunata e molto sfortunata. Nata nel 1907, scomparsa novant’anni dopo, fotografa di grande talento, ha vissuto nella Parigi surrealista degli anni Venti e Trenta del Novecento, è stata amica di André Breton, di Paul Éluard e di sua moglie Nusch (attrice, acrobata di circo, cartomante e a tratti prostituta), di Jacques Prévert, di Man Ray che le metteva a disposizione il suo laboratorio fotografico per lo sviluppo e stampa degli scatti. Ma si è innamorata prima di Georges Bataille, scrittore maudit, autore fra tante cose di Ma mère, storia incestuosa di un adolescente che viene iniziato alle orge e alla perversione dalla madre. Georges è un sadomasochista che tortura Dora. Lei dopo molta fatica riesce a lasciarlo ma incontra Picasso ai Deux Magots, il famoso caffè di Saint-Germain-des-Prés, e cade nelle sue braccia, triste sorte da non augurare a nessuna donna.
Schiava di Picasso è un monologo scritto da Osvaldo Guerrieri e interpretato da Monica Rogledi diretta al teatro Off Off di Roma da Blas Roca Rey. Su questa interessantissima figura tragica di donna e d’artista del Novecento sono state scritte varie biografie, una per esempio di Nicole Avril, Moi, Dora Maar, uscita nel 2002. Se si volesse avere un’idea ancor più precisa delle torture psicologiche che Pablo riservava alle donne (oltre a una serie di osservazioni sulla sua pittura e le sue tecniche compositive), sarebbe da leggere anche Vita con Picasso di Françoise Gilot, la quale inevitabilmente parla male della Maar, fornendo una sua versione della storia fra la fotografa e il pittore. È per Françoise, pittrice giovanissima, di ventun anni, che nel ‘43 il sessantunenne Picasso lascia definitivamente Dora, della quale peraltro s’era già stufato da un po’. Per la cronaca, Gilot il prossimo 26 novembre compirà 101 anni.
Dora impazzisce, subisce l’elettroshock e finisce in cura da Jacques Lacan, prima di ritirarsi a Ménerbes, in Provenza, in una casa che il pittore le comprò pagandola con un quadro.
Alcune vite, per quanto possano essere tormentate, evolvono in un ambiente dove il meno intelligente forse è un genio, o comunque un talento. Persino Marie-Thérèse Walter, la modella alta, bionda e con gli occhi azzurri, suicida per impiccagione in un garage nel 1977, che nel 1927 ancora diciassettenne divenne amante di Picasso, doveva avere un talento. Infatti lui la tenne come amante anche durante la storia con Dora, non solo perché gli aveva dato una figlia, ma perché il pittore sosteneva che a letto fosse eccezionale.
Ora, la vita di Dora Maar – e in genere di queste donne speciali, artiste o femme d’artiste, affascinate dai maschi geni e sovente geniali esse stesse – è interessante sotto molti punti di vista. Ma siccome entrare nella mente di personalità straordinarie è difficile, allora bisogna scegliere una finestra che dall’esterno mostri una stanza di questi complessi palazzi interiori. Verso il finale l’autore fa dire a Dora una battuta fondamentale per descrivere la relazione, ossia che Picasso non è un amante ma un padrone. Schiava o regina? è il titolo del primo romanzo di Delly, nom de plume di Jeanne-Marie Petitjean de La Rosière (1875 – 1947) e di suo fratello Frédéric (1876 – 1949) che ebbero un successo enorme in Francia e anche in Italia fra il 1910 e il 1950. I due erano specializzati nei cosiddetti romans de gare, romanzi di stazione, in ispecie rosa. Schiava o regina?, un classico della letteratura popolare, racconta di Lise, giovane e bella figliastra della nobile Catherine de Subrans, che si innamora dell’affascinante e dispotico principe Serge Ormanoff. La differenza di età e il carattere impossibile di Ormanoff, il quale considera le donne esseri inferiori, giocattoli di cui godere a piacimento, trasformano l’idillio in un inferno di costrizioni, soprusi, umiliazioni e violenze. Schiava di Picasso si concentra sul drammone sentimentale e solo sullo sfondo s’intravvedono i grandi fatti storici, la guerra civile spagnola e l’occupazione tedesca di Parigi.
Il regista Blas Roca Rey s’industria a trasformare il monologo nella rievocazione di un mondo artistico, la Parigi degli anni ruggenti nella quale si svolge una storia d’amore maledetto interessante perché di mezzo c’è Picasso, altrimenti bisognerebbe solo telefonare a Sos Donna. Una gigantografia della Femme qui pleure, celebre ritratto cubista di Dora Maar, rappresenta un segno scenografico imponente e tragico che giustifica visivamente il monologo, lo elettrifica d’una disperazione di natura molto novecentesca e aiuta l’attrice a palesare interpretativamente un dramma non soltanto sentimentale, ma artistico ed esistenziale. Monica Rogledi restituisce con, si potrebbe dire, devozione il personaggio, lo sente, ne è ispirata. Si tratta chiaramente di un ruolo drammatico che le si confà anche se ancora lo recita, anche se il personaggio sembra possedere l’attrice più di quanto l’attrice possieda il personaggio.
La regia affianca alla Rogledi una cantante, Barbara Cestoni accompagnata dalla chitarra di Gabriele Santori in pezzi famosi della chanson francese: Mes mains di Gilbert Bécaud, scelta perché al primo incontro con Picasso ai Deux Magots, Dora si ferisce le mani guantate giocando a darsi in velocità le coltellate negli spazi fra le dita delle mani aperte e il pittore le chiede di regalargli i guanti insanguinati; poi Sous le ciel de Paris e La vie en rose di Édith  Piaf; La mer di Charles Trenet e a questo punto, ovviamente, Que reste-t’il de nos amours?; invece Ne me quitte pas di Jacques Brel viene, chissà perché, proposta nella versione Italiana, ma non è una cattiva idea visto che in francese la cantante ha una pronuncia imprecisa, le parole si capiscono poco e alla fine que reste-t’il de nos chansons?, l’atmosfera di una Francia, di una Parigi che ha estratto l’oro del Novecento, dell’unica città al mondo in cui gli uomini e le donne possono amarsi e lasciarsi sopra il fiume dei versi di Apollinaire: Sous le pont Mirabeau coule la Seine / Et nos amours / Faut-il qu’il m’en souvienne / La joie venait toujours après la peine. (Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna / E i nostri amor / Che io me ne sovvenga / La gioia mai mancò dopo il dolor – traduzione di Giorgio Caproni).

Marcantonio Lucidi,
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