“Sani! Teatro fra parentesi” di e con Marco Paolini. In scena al Quirino di Roma
Puntini nello spazio nero sono gli uomini intelligenti
Marco Paolini è uno showman caratterizzato da una forte morale che viene, tanto per categorizzare, dal “teatro civile” o dal “teatro di narrazione” di cui è un esponente incasellabile nella “prima generazione” (assieme a Marco Baliani, per esempio); i suoi show presentano elementi di cabaret ma anche di stand-up comedy; il suo lavoro drammaturgico procede in buona parte da una collazione di cronache giornalistiche e assume una configurazione di inchiesta e di ricostruzione storica; ha uno stile performativo semplice e una comunicazione immediatamente comprensibile che lo rendono subito caloroso e simpatico, “teatrogenico” se il termine esistesse. A classificarlo come un buon vino, dargli le stelline come si fa con i film e le forchette con i ristoranti, lo showman avrebbe senza dubbio il massimo. E il pubblico può uscire di sala contento perché lo spettacolo, intitolato Sani! Teatro fra parentesi, vale il prezzo del biglietto per una poltrona al Quirino di Roma dove è stato proposto.
Paolini possiede una qualità che lo caratterizza come un artista e non come un mestierante della comunicazione dal vivo o peggio, un intellettuale della scena o magari, ancora più inguardabile, un gazzettiere esibizionista per talk-show trash con velleità da istriomane. È un uomo morale ma non un moralista, un performer di teatro civile ma non uno di quegli indignati della blaterocrazia che per l’emissione di qualche gorgoglio laringeo crede assolto il proprio impegno. Il teatro è azione perché qualcosa succede non soltanto in scena ma anche in platea. L’attore – autore non punta il dito, non accusa, non scarica l’aggressività dello scandalizzato e offre i suoi monologhi, che contengono argomenti molto seri, come divertissement ironici: la questione ambientale e il blablabla, come lo ha chiamato Greta Thunberg, dei politici alla conferenza sul clima organizzata dall’Onu a Glasgow nel novembre scorso; il terremoto del Friuli nel ’76, la catastrofe, la disorganizzazione; il rogo del cinema Statuto a Torino il 13 febbraio 1983, le porte d’emergenza sbarrate, i 64 morti; il pericolo della guerra nucleare, rievocato attraverso la storia del tenente colonnello dell’esercito sovietico Stanislav Petrov che la notte del 26 settembre (sempre dell’83) aveva il turno di notte e doveva controllare i dati inviati dai satelliti che spiavano i movimenti degli armamenti statunitensi. D’un tratto i suoi schermi gli indicarono che cinque missili intercontinentali erano stati lanciati da una base nel Montana. Ma Petrov capì che si trattava di un errore del sistema di sorveglianza che aveva scambiato per missili dei riflessi solari su nubi ad alta quota e non trasmise ai generali l’allarme che avrebbe innescato la rappresaglia atomica. Uno sconosciuto ufficiale sovietico aveva salvato il mondo.
Il filo dello spettacolo è autobiografico nel senso che Paolini, nato nel 1956, racconta fatti storici avvenuti nel corso di questi sessantasei anni anche attraverso ricordi personali e il boom economico corre sul progressivo benessere della sua famiglia, la lavatrice, il frigorifero, il televisore, la macchina. Vengono fuori episodi molto divertenti, per esempio l’incontro di gioventù con Carmelo Bene: avvenne in occasione di un recital di Bene sui Canti orfici di Dino Campana seguiti da una lectura Dantis che Paolini aveva organizzato a Treviso affittando la tenda del circo Togni e piazzandola dietro la ferrovia. Allora in scena il grande attore aveva chiesto l’orario ferroviario per declamare i versi fra un passaggio di treno e l’altro. Il monologo di chiusura ricorda la pressante richiesta alla Nasa del grande astrofisico Carl Sagan (1934 – 1996) per ottenere dalla sonda Voyager 1 la famosa Pale blue dot, la fotografia della Terra scattata a una distanza di sei miliardi di chilometri, oltre l’orbita di Plutone. È tutto nero attorno al pallido puntino azzurro. “Significa che dobbiamo salvarci da soli”, dice Paolini.
L’attore è accompagnato da Lorenzo Monguzzi (chitarra e voce) che esegue musiche originali sue e di Saba Anglana. Ce n’è una che fa: “Si annunciano tempi difficili per le persone intelligenti”. In verità qui si può dissentire: i tempi sono sempre stati difficili.