Alla Cometa Off di Roma , “Eppur mi sono scordato di me” di Gianni Clementi con Paolo Triestino
Italiani, brutta gente
Uno spettacolo comico su un interrogativo amaro: come mai nel corso dell’ultima quarantina d’anni gli italiani sono diventati delle carogne? Eppur mi son scordato di me, monologo scritto da Gianni Clementi per l’interpretazione di Paolo Triestino, racconta attraverso un piccolo espediente drammaturgico, il declino antropologico di una popolazione verso una gigantesca volgarità di massa. Non solo parolacce ma rabbia, odio, aggressività, disprezzo, qualunquismo, menefreghismo, neoanalfabetismo.
La preoccupazione dell’autore e dell’attore (anche regista) non è di dare risposte, altrimenti lo spettacolo cadrebbe subito nel moralismo e nel pedagogico, ma di rendere comica una materia che invero è tragica. Allora l’espediente è il seguente: dopo un’operazione al cervello, Antonio non ricorda nulla del recente passato però a riaffiorare è quello remoto. Quindi ritrova il tempo d’oggi e lo paragona agli anni Settanta quando lui stesso era un giovane timido e impacciato con le ragazze, faceva le occupazioni al Mamiani, frequentava la sezione Fgci di Via Properzio, sfilava alle manifestazioni a favore dei Vietcong, leggeva Il giovane Holden, aveva una passione nascosta per Lucio Battisti, considerato di destra, e cantava E penso a te. Una memoria generazionale di chi ha più di cinquant’anni. Anche se Antonio non sognava la rivoluzione, preferiva la “Maggica”, nascondeva il Corriere dello Sport dentro Lotta continua, e insomma era uno un po’ opportunista che nell’autoradio dell’850 di papà metteva la cassetta degli Inti-illimani per rimorchiare, pur tuttavia era figlio di quel tempo.
E che fine ha fatto questo smemorato di Roma che al contrario di quello di Collegno, non esce improvvisamente da un manicomio ma vi finisce dentro? Possiede una ditta di spurgo fognario. Socio in affari è il cognato proprietario di un Hummer – macchina alla Arnold Schwarzenegger truce come un blindato – che guida da delinquente lanciando pesanti insulti agli altri automobilisti. La moglie, l’educata ragazza che Antonio aveva portato nel ’74 a vedere Il grande dittatore di Chaplin, è diventata una buzzicona, come si dice a Roma, con le tette rifatte e le labbra siliconate a forma di cernia. Lo smemorato invece è tornato alla sua antica personalità di giovane sensibile, pacifista, politicamente impegnato e non si capacita dell’inciviltà e della violenza che lo circondano.
Tutto ciò riesce però comico perché è basato sul contrasto fra il personaggio e la situazione, un po’ come mettere una suora di clausura in un bordello o un’allegra prostituta in un convento, un vegano in un mattatoio e un matto in un aeroplano.
Il testo è volutamente elementare, sembra a volte che si rivolga ai possessori di Hummer. Necessita d’un attore come Triestino sicuro nei tempi comici e capace di ingraziarsi il pubblico dicendogli cose che a qualcuno potrebbero risultare sgradevoli. L’ attore recita, canta, suona la chitarra, è abile, divertente, sornione, ha un modo di stare in scena che lavora sulla sottrazione piuttosto che sull’esagerazione, il suo è un umorismo svagato di chi è stato catapultato nel posto sbagliato al momento sbagliato e dice: scusate, mi sono sbagliato.
Nella sua semplicità, lo spettacolo è quasi un servizio alla cittadinanza alla quale chiede se ha proprio voglia di continuare di questo passo, in questa lunga stupida guerra a bassa intensità che ormai caratterizza le relazioni fra individui. Forse manca solo un episodio al quadretto di Clementi ed è la scena di una bella riunione di condominio.