“La vita davanti a sé” di Romain Gary / Emile Ajar, adattamento, regia e interpretazione di Silvio Orlando. All’Argentina di Roma
Proletari di tutto il mondo, gentrificatevi
Come molti artisti francesi, Romain Gary (1914 – 1980) non era nato in Francia. Veniva da Vilnius, in Lituania, figlio di una famiglia ebraica. Uno di quegli uomini di cui a Parigi hanno il segreto: romanziere, diplomatico, pilota di guerra come Antoine de Saint-Exupéry, grande viaggiatore come Pierre Loti, il famoso scrittore e ufficiale di marina che a Istanbul s’innamorò della meravigliosa circassa Aziyadé. Sono personaggi particolari, si portano dentro per tutta la vita un demone di mezzanotte, un soffio di fiamma nell’oscurità dell’esistenza.
Romain Gary, nato Roman Kacew, pubblica negli anni Settanta quattro romanzi sotto lo pseudonimo di Emile Ajar e il 2 dicembre 1980 si spara una pallottola in bocca per paura della vecchiaia. Gary in russo è l’imperativo del verbo bruciare (brucia!) e Ajar vuol dire brace. Con questo nom de plume, firma nel ‘75 La vie devant soi (La vita davanti a sé) che vince il Goncourt: è la seconda volta, un caso unico, lo scrittore era già stato premiato nel 1956 per Le radici del cielo ma quelli del premio non sapevano che Ajar e Gary erano la stessa persona.
Adattato nel ’77 per il cinema da Moshé Mizrahi, La vie devant soi prese l’Oscar come miglior film straniero e la protagonista Simone Signoret il César come migliore attrice. Questo dice qualcosa sullo spettacolo diretto e interpretato all’Argentina da Silvio Orlando che ha anche curato la riduzione teatrale dell’opera. Dice che dal romanzo di Gary-Ajar si può costruire una drammaturgia a più personaggi in luogo di questo blocco di letteratura monologata. Tempo previsto dello spettacolo (sul sito del teatro) settanta minuti, tempo annunciato (dall’altoparlante in sala) ottanta minuti, tempo effettivo novanta minuti, tempo percepito due ore e dieci.
Si tratta di un caso di scuola in cui l’attore è bravo e riesce in virtù del mestiere e di una recitazione abile a tirarsi fuori dalla trappola che si è preparato con le sue proprie mani come adattatore e regista. Lo spettacolo però è anche prova delle conseguenze causate dall’assenza di una direzione artistica del Teatro di Roma: piazzare sul palcoscenico dello stabile pubblico capitolino un monologo a riempire le due settimane più importanti della stagione, quelle delle festività natalizie, indica che non esistono un progetto, una strategia e una programmazione. A chiudere l’anno è stato chiamato un buon nome della prosa nazionale, il quale si è presentato con l’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre a fare un po’ di musica e di movimento in scena, tanto per dare un minimo di brio alla serata, e ha recitato un adattamento da lui stesso composto leggermente meno teatrale di un libro di Bruno Vespa.
Si racconta di Momò, ragazzino arabo che vive nella pensione di madame Rosa, vecchia ebrea sopravvissuta ad Auschwitz che in tempi migliori “si difendeva con il suo culo”. Batteva il marciapiede di una strada vicino alla Porte Saint-Denis, Rue Blondel, da sempre nota per le decine di prostitute addossate ai muri dei palazzi. Adesso madame Rosa ha aperto nel quartiere di Belleville una pensione clandestina per figli “nati di traverso”, figli di puttane che li affidano alla vecchia collega nella speranza che sfuggano ai servizi sociali e anche alle vendette dei papponi. Momò descrive la sua vita presso l’anziana “femme de joie” e il suo amore per lei, l’unica sua “madre”, la quale gli fa credere di avere dieci anni, e non i suoi quattordici, per paura che se ne vada. Lui invece accompagnerà la vecchia e malandata madame Rosa fino alla fine dei suoi giorni.
La storia si svolge a Belleville, vecchio quartiere proletario negli anni Settanta, quando fu scritto il romanzo, a forte immigrazione polacca, armena, ebraica, successivamente magrebina, africana, asiatica. Oggi è una zona gentrificata di bar modaioli e supermercati bio. Al 72 rue de Belleville, precisamente sulle scale del palazzo, dice la targa commemorativa (quindi non in casa), nacque Edith Piaf, peraltro nipote d’una tenutaria di bordello in Normandia in cui visse da bambina. Adesso, al primo gennaio 2022, il prezzo di vendita di un appartamento a Belleville è mediamente di 9.955 euro al metro quadro.
In un certo qual modo, anche lo spettacolo di Silvio Orlando è gentrificato perché si fonda su cose che piacciono ai bobo, borghesi bohémien: la nomea dell’attore, i pastiche musicali dell’Orchestra Terra Madre che suona pezzi gitani, arabi e klezmer, una certa verbosità – questa è tutta letteratura, tutto raccontato – fatta passare per cultura smart sugli ultimi della società. Evidentemente l’idea di spettacolo rischia di essere troppo dura e plebea quando si parla dei disgraziati, per fare la poesia dei reietti meglio il monologo, dà il senso dell’attore personalmente engagé e rassicura la platea sulla propria compartecipazione, astratta però, alla condizione dei maledetti. Ma il romanzo non ha vinto il Goncourt per moralismo. Sarebbe una cattiveria pensare che in questo caso il rapporto fra platea e palcoscenico si sia rovesciato: non quello che il pubblico si aspetta dall’artista ma quello che l’artista si aspetta dal pubblico, ossia una gratificante approvazione morale dello spettacolo accompagnata ovviamente dall’apprezzamento entusiasta per la prova d’attore, indipendentemente da una regia, da un testo, da un’azione teatrale. Tuttavia non si deve pensar male perché alla fin fine Orlando propone ma il pubblico dispone e una buona parte della platea lo ha applaudito con calore, ha accettato un patto di ordine tutto sommato televisivo, fondato sul nome e sull’esibizione. Missione compiuta.
Lo spettacolo ha avuto una coda dovuta all’iniziativa del nuovo sindaco della città Roberto Gualtieri intitolata “Roma Capodarte 2022” e promossa dall’assessorato alla cultura Miguel Gotor in occasione del primo gennaio. Il comunicato del Comune annunciava: “Importanti personalità del mondo dell’arte, del cinema, della musica, della letteratura e del teatro hanno risposto all’appello del sindaco e hanno deciso di condividere il Capodanno con spettatori e visitatori, donando loro un’ora del proprio tempo”. Per parte sua, Orlando ha donato al pubblico dell’Argentina una sua riflessione sul tema “Arte e libertà”. E ha chiamato sul palco a spalleggiarlo in questa delicata missione la regista Lucia Calamaro. Che altro poteva fare? Enumerare i guai dello stabile nel quale si trovava? Parlare del Teatro di Roma commissariato e della mancanza di un progetto artistico? Del Valle inagibile? Oppure chiacchierare d’altro, dell’Eliseo chiuso per esempio? Ha detto che il teatro è importante e deve essere salvaguardato. Tutti d’accordo. Altri applausi. “Roma capodarte 2022” ha offerto alcune mostre gratis, qualche conversazione da dopofilm, ha chiesto agli artisti di spettacoli, concerti e balletti già programmati da tempo di fare degli interventi beneauguranti. Questa deve essere la gualtierizzazione gotorizzata della cultura romana. Se il buongiorno si vede dal mattino, buonanotte.