“Dolore sotto chiave” e “Sik Sik l’artefice magico” di Eduardo De Filippo, regia di Carlo Cecchi anche interprete assieme ad Angelica Ippolito e Vincenzo Ferrera. All’Argentina di Roma
La pantofola dell’improvvisazione
Si sente che Carlo Cecchi è un grande attore. Ma non si vede. Ogni tanto dice le battute con intonazione e tempo formidabili, la platea del teatro Argentina ride e lo spettacolo s’illumina un istante come un fulmine sopra un luna-park chiuso per sciopero. Con Sik Sik l’artefice magico, che Cecchi dirige e interpreta assieme a un altro atto unico di Eduardo, Dolore sotto chiave, si vorrebbe essere invitati al grande parco giochi teatrale della meraviglia, assistere all’illusione (comica) e a numeri di prestigio attorali.
Cecchi accentua la tendenza a stare sul palcoscenico come a casa sua in pantofole. Rilassato, noncurante, quasi indolente. Dopo Stanislawskij e il naturalismo, ecco il quotidianismo e il nuovo metodo russo di recitazione pantofolavskij. Esiste un grado zero dell’arte che può essere raggiunto da grandi attori ma non per forza costituisce un vantaggio. La giacca più comoda è in genere la più consumata. Oltretutto Sik Sik l’artefice magico – sik viene dal napoletano sicco, secco – consente un forte livello di ambiguità fra una recitazione trasandata e il personaggio scarrupato inventato da Eduardo: un illusionista cialtrone e miserabile, un tira a campare che si esibisce su palcoscenici di quarta. L’atto unico nasce nel 1929 come uno sketch lungo da inserire in uno spettacolo intitolato Pulcinella principe in sogno. Quasi metà del testo è una tipica scenetta di comico e spalla praticamente da avanspettacolo e si alimenta della tradizione napoletana dei buffi di feste popolari e di café-chantant, alla Giovanni Mongelluzzo (1876 -1932), inventore del bel Ciccillo (ripreso da Totò) e famosa vedette del Caffè Turco in piazza Plebiscito. Quando Mongelluzzo si esibiva, i passeggeri del tram 18 obbligavano il conducente a fermarsi un quarto d’ora, anche una mezz’ora, per assistere alle sue macchiette. Finito lo spettacolo, il tram poteva ripartire.
Ora però Cecchi esagera nel suo andazzo strascinato da comico di piazza perché corre una bella differenza fra il tema e il modo. Una storia di miseria o di anarchia non ha da essere messa in scena in maniera miseranda o scombinata. Altrimenti si fa presto a fare un personaggio di ubriacone, basta bersi il litro però poi non si può parlate di teatro. Il teatro brillante è tale proprio perché è brillante rispetto all’argomento. Una sera il compianto Attilio Corsini per burla scaraventò sul palcoscenico del suo teatro Vittoria un barbone che andava per ristoranti a cantare da avvinazzato accompagnandosi con una chitarra scassata. Il poveretto, preso praticamente di peso dalla strada con la bottiglia in mano, si ritrovò d’improvviso a barcollare davanti a quattrocento persone. Ne venne fuori una scena penosa e falsa: Corsini non si era reso conto d’essere finito nella falsificazione per eccesso di “farsificazione”.
Le cose vanno meglio nel primo dei due atti, Dolore sotto chiave. Il ruolo protagonista di Rocco Capasso è affidato a Vincenzo Ferrera, il quale sta bene in parte e agli spettatori dà soddisfazione, come direbbero a Napoli. Però anche in questo caso Cecchi ci mette una mano di troppo nel ruolo secondario del professor Ricciuti che arriva dopo più di mezz’atto. Forse l’attore e regista non si contenta dell’esiguità della parte e per dare maggior presenza al personaggio, recupera una scena in cui il professore al telefono dà indicazioni per la preparazione di un piatto tipicamente romano, la coratella ai carciofi. Il monologhetto non sta nel testo originale, si tratta di un’improvvisazione di Eduardo inventata in occasione della messinscena dell’atto unico per la stagione ’65-’66 e da lui riproposta nell’edizione del ’79 con la quale diede l’addio alle scene. Però le improvvisazioni nascono in determinati contesti, sono sorelle dell’istante e figlie del singolo artista. Se Eduardo non ha trascritto quella scena nel testo, ci sarà stata una ragione, probabilmente la riteneva una sua piccola creatura da non lasciare in eredità alla recitazione dei posteri. Si resta un po’ perplessi nel vedere un attore del calibro di Cecchi fare il secondo ruolo maschile che fu del grande capocomico napoletano (il quale mai interpretò Rocco) e non contentarsi del testo ma voler riprodurre un’improvvisazione (di Eduardo per giunta) che rappresenta sempre la più personale cifra artistica di un interprete.
Parole diverse vanno spese per Angelica Ippolito che in Sik Sik interpreta Giorgetta, la moglie dell’illusionista, il ruolo che fu già suo nel 1979 accanto ad Eduardo. Vestita esattamente come quarantadue anni fa, con la gonna a spacco sulle cosce e le calze in bella vista, sta sottilmente, con ironia femminile, prendendo in giro se stessa e il tempo che passa. Forse però non era il caso di riproporre una Giorgetta in stato di gravidanza, come indica la didascalia. Quarantadue anni dopo, è inverosimile. Molto brava, Ippolito, anche nel duetto con Ferrera per Dolore sotto chiave: tempi giusti, movimenti giusti, tutto secondo arte e mestiere per un pezzo di teatro non semplice. Lucia nasconde per mesi al fratello Rocco la morte della moglie Elena, facendogli credere che la donna giace nella stanza accanto. Ogni minimo rumore potrebbe, a detta dei medici, essere fatale alla malata. Finché un giorno, il marito, esasperato, a tavola con la sorella, spacca tutti i piatti, entra di forza nella stanza e scopre la verità. Il dialogo si fa delicato e tocca la morte, il lutto, il tradimento, i segreti, anzi le segrete di una coppia. Ippolito e Ferrera regalano i momenti migliori della serata. Scenografie di Dolore sotto chiave molto belle di un artista di prim’ordine come Sergio Tramonti, illuminate con una cura perfezionista dalle luci di Camilla Piccioni. Costumi di Nanà Cecchi. Per Sik Sik scene e costumi di Titina Maselli, pittrice e scenografa di indimenticato talento scomparsa nel 2005, recuperati dal precedente allestimento del capolavoro eduardiano che Cecchi firmò nel 2001. In scena anche Remo Stella, Marco Trotta e Dario Iubatti voluto dal regista en travesti nel ruolo di Paola che tenta di sedurre Rocco Capasso. Chissà perché, forse per “farsificare” di più.