“La Maîtresse”, testo, regia e interpretazione di Gaia Aprea, monologo tratto da “Memorie di una maîtresse americana” di Nell Kimball. All’Off Off di Roma

La Maîtresse,

Un filo di ferro in una calza di seta

Al teatro Off Off di Roma La Maîtresse, monologo liberamente tratto dalle scandalose Memorie di una maîtresse americana di Nell Kimball, è un’ottima occasione per studiare da vicino un’attrice quotata come Gaia Aprea, rinomata presso le platee di prosa e dal percorso artistico ragguardevole.
Di forte presenza scenica, dominatrice dello spazio, brava regista di se stessa, ferma e sicura nel controllo della voce e dei movimenti, tutta avviluppata nelle astuzie del mestiere oltreché nello smoking da donna con revers in raso, scarpe décolletées rosse a tacco alto puntato sul velluto rosso della dormeuse sulla quale si distende ad inizio spettacolo: una comédienne quasi vecchia maniera, bellamente non naturalistica, addirittura con delle pose – una mano a mezz’aria coll’indice appena staccato verso il volto offerto di profilo al pubblico – che evocherebbero alle male menti delle classicheggianti sarahbernhardate. Eppure Gaia Aprea resta credibile. Il suo modo di adagiarsi sulla dormeuse non ha niente di banalmente svenevole e malizioso, o di furbesco e ammiccante, come ci si aspetterebbe da un simile personaggio, o meglio dal luogo comune di un simile personaggio, una famosissima puttana e tenutaria di bordelli di lusso nell’America fra Otto e Novecento. L’attrice lavora invece sulla durezza, la durezza da salotto di una donna del demi-monde che concede una morbidezza aguzza agli esseri umani, ai maschi soprattutto perché sa che vanno trattati con il buon cuoio flessibile del frustino da cavallo, il nerbo dei signori. La Nell Kimball della solista sembra un filo di ferro in una calza di seta, dessous mentale perfetto per questa donna nata nel 1854 in Illinois su un podere di sassi, come diceva lei (e morta in Florida nel 1934). L’incipit del libro recita: “Se guardo indietro alla mia vita (ed è l’unico modo in cui posso guardarla, oramai), non ci trovo niente di tanto diverso da come la maggior parte della gente vorrebbe la sua. Cominciai a quindici anni, in una buona casa di Saint Louis, senza nessun’idea; come tutte le puttane molto giovani, il mio solo scopo era sfamarmi e avere qualche bel vestito da mettermi, e son finita tenutaria di bordelli e donna d’affari, ho assunto e comandato ragazze, ho diretto case di lusso. E mi sono sempre domandata come mai le cose mi siano andate così. Comunque, posso dire questo: come non ho mai provato nessun rimorso, così non ho avuto mai nessun rimpianto”.
Le cose non sembrano cambiate molto: anche le prostitute minorenni dei Parioli, le baby squillo dello scandalo di qualche anno fa, si vendevano per i vestitini ma la differenza è che non venivano dalla fame. Si sente in Nell, donna indipendente, la forza del bisogno, la spinta ad avanzare perché dietro ci sono l’indigenza e la morte. Eccola adolescente con reggiseno e giarrettiere nel bordello dall’arredamento Biedermeier di St. Louis. E avanti come mantenuta di un ricco signore dell’alta società che la sistema in un appartamento di lusso, ma un giorno la molla, la butta fuori tramite un avvocato, uno di quei legulei dalla mano serva, e lei impara che gli uomini sul tetto della scala sociale non sono migliori di quelli in cantina, soltanto più affettati. Ancora avanti allora verso l’amour fou per uno svaligiatore di banche, un vero scassinatore di stanze blindate, che però muore improvvisamente. Avanti, avanti, verso il basso di stanze ammobiliate in cui perdere un figlio appena partorito e in alto di nuovo, tenutaria d’una casa di tolleranza di gran classe a New Orleans, nel distretto a luci rosse di Storyville, a pochi isolati dal quartiere francese. Forse non esiste un bordello di lusso che non sia un po’ francese, una maison de joie “con belle puttane pulite – dice orgogliosa Madame Nell – un casino da 20 dollari” nella città dove incomincia il jazz, nell’America dei neri, degli ebrei, delle prime lotte per i diritti civili, del Ku Klux Klan.
Si vede che Gaia Aprea ama questa figura di donna indipendente, ne offre lo splendore e la grinta di avventuriera che sta sulla vita come su onde di mare, senza domande metafisiche, senza perché, e ama, soffre, s’arricchisce, cade, si rialza nella città dei maschi, sola, tenace, astuta, fredda e passionale. Così orgogliosamente femminile. Il 12 novembre 1917, Storyville, con tutti i suoi lupanari per lupi spelacchiati della plebe o per i cani di razza della high society, fu chiusa per volontà del Dipartimento della Marina del governo federale.
Tutta questa storia che Nell Kimball racconta nelle sue Memorie, pubblicate in Italia da Adelphi, si vocifera sia falsa. Nel 1932, due anni prima di morire, Madame consegnò il presunto manoscritto a un prolifico scrittore americano, Stephen Longstreet, uno dei vari pseudonimi di Chauncey Weiner (1907-2002), il quale riuscì a farlo pubblicare solo quarant’anni dopo per via della censura. Ma negli archivi dell’Università di Yale si trova della documentazione in cui si legge che Longstreet ha scritto romanzi ma anche opere di saggistica di dubbia accuratezza e affidabilità delle fonti: “Perhaps his most notable hoax was” forse la sua bufala più notevole fu Nell Kimball: Her Life as an American Madam, by herself. A Yale scrivono perhaps, forse. Ma non ha nessuna importanza, i falsi storici sono essi stessi storia. E poi da una prostituta non ci si può aspettare nulla, anzi ci si attende di tutto.

Marcantonio Lucidi,
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