In scena all’Orologio “Le vacanze dei signori Lagonìa” di Colella e Lagi
Senza donne è peggio
La moglie è sempre seduta e parla in continuazione, il marito è quasi sempre in piedi e non parla praticamente mai. Stanno davanti al mare, accanto a un ombrellone, e hanno subìto una tragedia che non è giusto rivelare. Sono comunque due anziani relitti spiaggiati dalla vita che vanno verso un finale deprimente.
In scena al teatro dell’Orologio, Le vacanze dei signori Lagonìa, scritto da Francesco Colella e Francesco Lagi, anche regista, è uno spettacolo tristanzuolo che ambirebbe a rappresentare la condizione umana (o disumana) dei suoi personaggi. Invece il problema che viene fuori riguarda gli interpreti e gli autori. Il ruolo del marito è affidato a Mariano Pirrello, la moglie è interpretata “en travesti” dallo stesso Colella. Perché? Magari qualche attrice decente in giro per fare la moglie si trova. Neanche si devono temere gli sbirri: da vari secoli è stato tolto il divieto alle donne di salire sul palcoscenico. In attesa che l’interdetto sia ripristinato, stante l’odio verso le ragazze che di questi tempi intossica una società malata di femminicidio, ci si può chiedere per quale motivo questa povera signora Lagonìa, già carica di gravi problemi e di un nome disgraziato, viene tratteggiata dallo spettacolo secondo gli stereotipi più triti della moglie: logorroica, prevaricatrice, querula, insignificante, insopportabile. È una visione reazionaria della donna, rozza, buona per conversazioni fra maschi in caserma.
Colella è un tipo di interprete che come si dice in gergo cinematografico, non “passa”, non affascina, non smuove, non commuove, ha una recitazione aggressiva ed emozionalmente chiusa. Dà idea, giusta o sbagliata che sia, d’un attore gravato da immotivate certezze circa le proprie capacità recitative. Lavorare “en travesti” è operazione delicata, si rischia di scadere subito nel grossolano, bisogna avere una gran mano, come Paolo Poli, che nei confronti delle donne dimostra un affetto immenso, una tenerezza, un’ammirazione per la loro grazia. A meno che non si voglia puntare sulla risata facile, goliardica. Ma nello spettacolo a ridere, e troppo spesso, sono i due personaggi perché si riferiscono a fatti loro, del passato, che la drammaturgia non spiega. A teatro ci sono poche situazioni di così assoluta mestizia come due attori che si sbellicano di fronte a un pubblico che resta serio. Quanto all’altro attore, Pirrello, non è né bianco né nero, ne c’è né non c’è. Dice poco e niente e forse questo gli facilita la vita. Un tipo di attore che quando sta in scena, almeno in questo allestimento, non succede nulla.
Uno spettacolo che ricorda la battuta di Winston Churchill quando disse di Clement Attlee, vincitore delle elezioni britanniche nel ’45, subito dopo la Vittoria: “Questa mattina, davanti al numero 10 di Downing Street, si è fermato un taxi vuoto e ne è sceso Clement Attlee”.