“Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello, regia di Francesco Giuffrè, con Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi. Al teatro Ghione di Roma
Moralisti, che passione!
Il dramma dello stato civile, come Benedetto Croce chiamava Così è (se vi pare), è andato in scena al teatro Ghione con la regia di Francesco Giuffrè e l’interpretazione di Riccardo Polizzy Carbonelli nel ruolo del signor Ponza mentre a Marina Lorenzi è stata affidata la signora Frola.
In sala c’era parecchia gente. Ciò significa che Pirandello chiama il pubblico malgrado dialoghi siffatti: Sirelli: “Ma tutto codesto arzigogolo, scusa, per concludere che cosa?” Laudisi: “Ti pare che non concluda? Oh bella! Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così.” Signora Sirelli: “Ma secondo lei allora non si potrà mai sapere la verità?” Signora Cini: “Se non dobbiamo più credere neppure a ciò che si vede e si tocca!” Laudisi: “Ma sì, ci creda, signora! Perciò le dico: rispetti ciò che vedono e toccano gli altri, anche se sia il contrario di ciò che vede e tocca lei.” La signora Cini in questa messinscena non c’è perché sono stati eliminati alcuni personaggi e di conseguenza tagliate un po’ di battute, evidentemente per rendere meno gravoso lo sforzo produttivo.
Al Ghione sembrava proprio una serata di primo Novecento, o meglio come ci si figura una serata di quegli anni, con in scena una compagnia di vecchia maniera italiana, di quelle che stavano a mezzo a mezzo fra il tramonto del grande attore e l’alba dell’egemonia registica, scegliendo comunque il sol dell’avvenire, ossia l’interprete acquietato nelle braccia paterne, paternalistiche del “corago” (come s’è rischiato di chiamare in italiano il regista quando non si sapeva bene cos’era questo mestiere e quindi veniva difficile nominarlo). E del pubblico si potrebbe parlare quasi allo stesso modo di Alberto Savinio che una sera di novembre del ’38 si trovò al Quirino a vedere uno spettacolo di Gilberto Govi: “Ippopotami e giraffe stavano seduti nelle poltrone turchine incapaci a contenerli. Sembrava un’assemblea di divinità egizie, metà uomini e metà animali. Fronti aggrottate sulle quali calava una capigliatura fitta come il muschio, occhi acquosi e invasi dalle palpebre, mani enormi posate sulle ginocchia come costate di manzo sul marmo del macellaio, spalle a mappamondo, cosce a condutture del gas, e un ansimare profondo di ruminanti di notte nella stalla”.
S’aveva l’impressione di assistere alla replica d’uno di quegli spettacoli da teatro di tempi in fondo al tempo, una serata così rassicurante tutto sommato, d’autunno avanzato, da stagione di prosa sempre rinnovantesi e sempre uguale, un paio di Pirandello, forse uno Shakespeare e una commedia goldoniana da lunghe teniture, un Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo e visto che ci siamo anche un bel testo di teatro intimista scritto da Dario Niccodemi e interpretato da Luigi Cimara e Vera Vergani (che ebbero i ruoli del Figlio e della Figliastra nella prima famosa rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore il 9 maggio 1921 al Valle, oggi desolatamente chiuso all’attività teatrale).
Ci sono delle sere in cui l’umore non vuole sapere di sorprese e questa messinscena del Così è (se vi pare) sembra perfetta per chi ha desiderio d’un teatro che non intende fare la rivoluzione e nemmeno pretende d’agguantare la precisione filologica, non tempesta di traviamenti il testo, non s’infuria con l’autore, non scombina le poche certezze degli attori, un teatro per il quale il regista non s’irregista impettito e non coraga di qua e di là. Uno spettacolo “non”, una cosa semplice, senza ambizioni. Piana scorre la vicenda del signor Ponza che tiene chiusa in casa la moglie e fa passare la suocera, la signora Frola, per pazza, raccontando ch’ella non vuole capacitarsi della morte della figlia e che la consorte attuale è di seconde nozze. La signora al contrario sostiene che il signor Ponza la costringe a vedere la figlia, ben viva, soltanto dalla finestra della casa ove egli l’ha rinchiusa. Sicché gli abitanti della tranquilla cittadina di provincia in cui si svolge l’azione imbastiscono una specie di processo per sapere a chi la verità s’accompagna, se alla signora Frola o al signor Ponza. Insomma, è la solita critica alla borghesia. Stavolta però Pirandello appare moderno (senza particolare merito ma per una specie di capriola della Storia): non c’è delitto, non c’è colpa ma nessuno di questi paesani si fa i fatti propri ed invece giustifica il vizio del pettegolume con un peloso moralismo accusatorio. Né più né meno di quanto succede oggi dentro quelle sterminate province che sono i social network. Questa è la fortuna degli scrittori di qualsivoglia genere, letterati, poeti, drammaturghi, che a volte sembrano nostri contemporanei perché l’umanità è sempre uguale.
In scena oltre ai due protagonisti, Martino Duane (Lamberto Laudisi) che padroneggia il personaggio e lo muove con cura e compiutezza, Caterina Gramaglia (la signora Sirelli), Riccardo Ballerini (il consigliere Agazzi), Alessandra Scirdi (Amalia), Marial Bajma Riva (Dina), Marco Usai (Il prefetto).