“La tempesta” di Shakespeare, adattamento e regia di Luca De Fusco, con Eros Pagni e Gaia Aprea. All’Eliseo di Roma

LA TEMPESTA Eros Pagni

Sotto il regno di Calibano, Prospero non ha più magia

Mettere le mani nella Tempesta, uno dei drammi più complessi ed ermetici di Shakespeare, e portarla da tre ore a un’ora e tre quarti intervallo compreso è un’operazione di alta chirurgia drammaturgica e teatrale. Quindi il primo firmatario dello sventramento visto al teatro Eliseo di Roma è l’adattatore Luca De Fusco. A metterla in scena poi, La tempesta, ci vuole una levità, una scienza, un tocco magico che era di uno Strehler, o se si vuole dell’ultimo ormai sapiente Albertazzi, d’un regista che conosce il segreto meno conoscibile e più sottile dell’arte teatrale, ossia volgere l’invisibile in visibile e viceversa. Quindi il secondo firmatario di uno spettacolo di anima piccola ma di promozionale ridondanza è il regista Luca De Fusco.
La trovata sta nell’aver rovesciato il rapporto gerarchico fra Prospero e Ariele. Nell’originale shakespeariano il protagonista è Prospero, il duca di Milano spodestato dal fratello ed esiliato su un’isola con la figlia Miranda, mago espertissimo che comanda gli spiriti e gli elementi. Ariele, lo spirito dell’aria, è il deuteragonista che affianca il protagonista, mentre l’antagonista è Calibano, il figlio mostruoso della strega Sycorax da Prospero imprigionato e asservito. La scelta di De Fusco è di far interpretare Ariele e Calibano ad una sola attrice, Gaia Aprea, che indossa la stessa maschera per l’uno e l’altro ruolo. In questo modo viene traviato tutto il significato del dramma di Shakespeare, questa cattedrale teatrale di simboli e riferimenti esoterici, alchemici, spirituali. E siccome il personaggio principale non è più Prospero, ci si chiede perché la regia abbia chiamato per la parte un grande attore come Eros Pagni. Perché avere in scena un gigante della recitazione quale è Pagni significa procurarsi un’assicurazione sullo spettacolo, essere certi del fatto che qualsiasi cosa la regia s’inventi, ci saranno arte e altezza.
Beneficata è chiaramente Gaia Aprea la quale però si rivela superiore a quanto lo scetticismo potrebbe fare pensare, visto che né Ariele né Calibano sono ruoli facili e uno solo basta, se ben restituito, a restare nella memoria dello spettatore. La prova dell’attrice è la dimostrazione che a teatro non si può mai stare tranquilli e che una regia che appare eccessivamente riguardosa verso l’attrice e screanzata nei confronti del bardo inglese diventa una scommessa vinta su un’interprete anche se lo spettacolo balla sulla tomba dell’autore, il quale è impossibilitato a reagire se non andando a ululare durante la rappresentazione da un palchetto di quarta. L’Eliseo però non ha palchetti. Aprea passa da Ariele a Calibano, che son distanti come il diavolo e l’acqua santa, con una disinvoltura che mette piacere all’amante di teatro: il volto coperto dalla maschera, possiede un gioco di voci e una gestualità magnificamente caratterizzanti. Infatti quando Gaia Aprea ed Eros Pagni, il quale sempre stupisce per quel che riesce a trasmettere con un movimento minimo delle labbra o una leggera variazione timbrica, è un artista che dice tutto con nulla, insomma quando Aprea e Pagni non sono là sopra, il morale s’affloscia / la pressione s’ammoscia come diceva la canzone di Renzo Arbore. Perché gli altri attori in scena, anche per i ruoli che hanno, non paiono in grado di soffiare a forza anima nella messa in scena di un regista al quale un merito va riconosciuto: quello d’aver visto molti spettacoli in vita sua.
De Fusco ha chiesto all’impeccabile scenografa Marta Crisolini Malatesta una grande biblioteca – la biblioteca di Prospero quindi l’erudizione che alberga nella mente del grande mago – e ha fatto proiettare opere di Marc Chagall, Balthus, Francis Bacon, il ritratto di Dalì, c’è anche uno degli uomini con la bombetta alla Magritte. A che servono? Teatralmente a nulla. Forse fanno chic. I costumi, che portano la stessa firma della scenografia, sono di varie epoche, abiti formali Otto e Novecento, il frac, il tight grigio, vestiti e parrucche Settecento, l’abito da sera d’una Marilyn Monroe che appare d’improvviso dalla platea. Sembrano cose così, messe lì a pittare gli occhi dello spettatore, che stanno alla Tempesta come il divano a labbra di Mae West di Dalì accanto a una credenza in stile giacobiano. Forse però una ragione a tutto ciò esiste. I costumi per esempio, sono secondo una nota di De Fusco “nient’altro che citazioni della cultura occidentale, l’unica esperienza che questo intellettuale agorafobico abbia avuto nella sua vita”. L’intellettuale agorafobico sarebbe Prospero. Il faut de tout pour faire un monde, sostengono i francesi, ci vuole di tutto per fare un mondo, gli intellettuali fobici e i registi forbici.

Marcantonio Lucidi,
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