“Un nemico del popolo” di Henrik Ibsen, regia di Massimo Popolizio anche interprete assieme a Maria Paiato. Al teatro Argentina di Roma
Si sta parlando di oggi
Il teatro è sveglio. Massimo Popolizio ha messo in scena Un nemico del popolo di Henrik Ibsen e ha compiuto così un atto politico con la scelta del testo giusto al momento giusto.
Qui e ora la scena deve dire quello che succede nella polis: in una cittadina di provincia che fonda tutta la sua economia sulle terme, un medico, il dottor Thomas Stockmann – interpretato dallo stesso Popolizio – scopre che le acque sono inquinate e nocive per la salute. Intende avvisare la popolazione rendendo pubblica la notizia. Ma il sindaco Peter Stockmann, che è il fratello maggiore di Thomas, si oppone fermamente: i lavori di ristrutturazione dello stabilimento sono costosissimi e bloccheranno l’attività per anni, gli azionisti rischiano di andare falliti, i proprietari di case perderanno una grande fonte di lucro, la cittadina e la popolazione subiranno un tracollo economico. Della salute pubblica non importa niente a nessuno. Il giornale locale, La gazzetta del popolo, che inizialmente intendeva pubblicare il rapporto del medico non per ragioni etiche ma per laide manovre politiche, si schiera dalla parte del sindaco corrotto. Anche su questo aspetto il dramma di Ibsen si rivela molto attuale: l’informazione, snodo centrale di una democrazia e della convivenza civile, è nelle mani di giornalisti sottosviluppati culturalmente e moralmente; di gazzettieri, come è giusto chiamarli, avidi e opportunisti, ributtanti nel loro servilismo; di una categoria professionale inferiore persino a quella dei politici.
Un nemico del popolo racconta di gentaglia in lotta contro la verità che falsifica la realtà e manipola l’opinione pubblica sotto la copertura di una democrazia da operetta. Una battuta del dottor Stockmann, l’uomo morale quindi solo, un nemico del popolo, è un colpo di rasoio dentro una ferita aperta: “Saremo tutti d’accordo nell’affermare che sulla faccia della terra gli imbecilli costituiscono la maggioranza. Allora perché dovremmo farci comandare dalla maggioranza?”.
Il problema posto da Ibsen è enorme: la democrazia si poggia sulla dittatura di una maggioranza di idioti. Oppure: la democrazia si poggia su una maggioranza di idioti manovrata da una banda di criminali e di camerieri. Il drammaturgo norvegese dimostra che la democrazia è la più fragile delle forme di governo, può non essere in grado di difendere se stessa e, gestita da persone senza scrupoli in una società corrotta, permette a chiunque di arrivare al potere. È la situazione italiana di oggi, descritta in un’opera datata 1882. Il teatro è sempre contemporaneo. Assistere a questo spettacolo significa porsi la domanda – svincolata dalla partigianeria e dalla dialettica fra destra e sinistra – su come combattere la manipolazione delle masse, la disinformazione, la dealfabetizzazione promosse da soggetti congenitamente autoritari e come difendere i valori dell’illuminismo e dei diritti umani.
Nel testo integrale di Ibsen, Thomas Stockmann pecca di un astratto ed estremo idealismo che lo lascia a mezza strada fra l’eroico e il fanatico. I tagli, anche importanti ma quanto opportuni, effettuati per questa edizione del dramma, sottraggono molte parti pesanti e retoriche allo spettacolo e ridefiniscono il dottore come un personaggio meno utopico e tutto sommato dotato di una concretezza operativa. Ne viene fuori una opposizione al potere più ferma perché è chiaro che la mancanza di realismo e la conseguente ingenuità diminuiscono la forza della ragione. In questo senso il Thomas di Popolizio non è una psicologia da dramma naturalistico ottocentesco (sul modello di un altro capolavoro ibseniano come Casa di bambola) ma un carattere, cioè un tipo d’uomo, che l’interprete ridisegna a partire dall’originale in modo da renderlo meno debole come figura e politicamente più efficace. È un modo di intendere il teatro tipico di chi proviene dall’insegnamento di Luca Ronconi, il quale detestava le psicologie, sia dei personaggi che degli attori. Diceva che non era interessato a quello che avveniva “là dentro”. Succede però nel corso dello spettacolo, scenograficamente di una pulizia e di una precisione essenziali fin quasi al vuoto, che bene o male si stabilisce un rapporto psicologico, anche se non precisato, fra Thomas e il fratello Peter. Non si vuole certo smentire Popolizio parlando di psicologia, anzi, queste sono le meravigliose contraddizioni degli artisti, i quali vanno, volendo o non volendo, anche lottando perché non accada, verso soluzioni che a parole possono rifiutare. E che si rivelano giuste. Peter è interpretato en travesti da Maria Paiato, che è una delle migliori interpreti del teatro italiano e lo dimostra anche stavolta. Ora ci si chiede per quale motivo affidare un ruolo maschile a una donna. La risposta è perché la Paiato si rivela perfetta per quel ruolo. E perché attraverso l’opposizione uomo-donna diventa più intenso lo scontro fra Thomas e Peter. Ma siccome avere in scena un’attrice di tale valore non è un fatto neutro, ecco che Popolizio deve da interprete costruire una relazione con lei. E questa relazione si riverbera sul rapporto fra i due personaggi che si può esprimere così: Peter è nettamente superiore a Thomas per capacità di stare al mondo, intelligenza politica, lettura della realtà. Capacità di adattamento e velocità decisionale. Una macchina di potere. Ha dato a Thomas il posto di medico alle terme e assicura a lui e alla sua famiglia una vita dignitosa. C’è una sudditanza e c’è una ribellione a questa sudditanza che trova la sua occasione nello scandalo delle acque inquinate.
L’intelligenza della regia sta nel lasciare la Paiato libera di esprimersi per quel che è, una fuoriclasse, anche se questa libertà può dare luogo a delle alterazioni. Ma l’arte è superiore alla logica. Le chiede solo di stare dentro l’estetica e la poetica dello spettacolo. Quel che appare dalla sala è che le indicazioni di Popolizio all’attrice sono strategiche e non tattiche, non come va fatto ma perché va fatto.
A questo punto gli altri interpreti, tutti bravi, tutti ben impostati, devono semplicemente (si fa per dire) stare nel campo di gioco delimitato dalla regia ossia nel quadro che giustamente qui, come purtroppo non sempre avviene a teatro, è più importante della cornice. In poche parole, la regia si vede poco, la qual cosa è la dimostrazione di una sicurezza ed originalità del metteur en scène. Lavorano con i due protagonisti, nei ruoli secondi e terzi, Tommaso Cardarelli (Billing), Francesca Ciocchetti (Kathrine Stockmann), Maria Laila Fernandez (Petra Stockmann), Paolo Musio (Hovstad), Michele Nani (Aslacksen), Francesco Bolo Rossini (Morten Kiil). Il gruppo, formato in tutto da quattordici attori, è molto coeso, molto uniforme nella recitazione, stanno tutti a un livello alto ma omogeneo e nessuno si scosta verso l’alto o il basso dalla media generale. Scene di Marco Rossi, costumi di Gianluca Sbicca, luci di Luigi Biondi, tutto fatto bene, a regola d’arte.
Per il ruolo dell’ubriacone che continuamente interrompe l’assemblea del popolo durante la quale Thomas viene dichiarato un nemico, è stato chiamato un attore di colore, Martin Chishimba. Una scelta che chiarisce, a chi per caso non l’avesse ancora capito, che si sta parlando di oggi.