“La classe”, spettacolo di Fabiana Iacozzilli in scena alla Pelanda per il Romaeuropa Festival
Emozioni di seconda mano
Autobiografia, autopsicanalisi, autoriferimento, il teatro è un auto (mobile) per andare in scena a parlare dei fatti propri. Nel quadro del Romaeuropa Festival, alla Pelanda è andato in scena uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli, La classe, così spiegato nel programma di sala: “Un docupuppets per marionette e uomini”. I riferimenti a La classe morta di Tadeusz Kantor – anche se in un’intervista l’autrice e regista lo cita – non paiono pertinenti anche perché è giusto serbare il senso delle proporzioni.
Le marionette ideate da Fiammetta Mandich e mosse a vista da un gruppo dei marionettisti che sono anche attori raccontano la storia di una scolaresca alla mercé della loro maestra, una suora che mena, opprime, terrorizza i bambini. Questo è un cliché: le monache sono brutte, sporche e cattive e pure puzzolenti. Su questa falsariga si possono profferire una quantità di affermazioni utili alla comprensione delle cose umane: “Tutti i meridionali so’ figli di mammà” oppure, inventata di sana pianta ma non per questo meno valida: “Tutte le mignotte sono bigotte, tutte le signore sono in calore”. E c’è anche: “Un reparto scout consiste in dodici piccoli bambini vestiti da cretini che seguono un grande cretino vestito da bambino”. Sulla falsità di quest’ultima proposizione si potrebbe avere qualche dubbio perché siccome era di Jack Benny, un famoso comico americano, si può affermare che “Tutti i comici dicono la verità”.
A un certo momento la voce registrata di Iacozzilli informa d’essere stata tacciata durante le prove di eccessiva severità e puntiglio da una sua collaboratrice allo spettacolo che ha deciso di rinunciare al lavoro. Poi afferma anche che probabilmente questa faccenda della suora deve avere soffocato il suo istinto materno. Santo cielo, si diranno in cuor loro le moltitudini generate da mamme che sono state dalle suore, consapevoli finalmente d’avere rischiato di non nascere. Ne va di mezzo la sopravvivenza stessa della razza umana vista la quantità di istituti scolastici gestiti dalle monachelle. Questo tipo di teatro ha un nome e si chiama “la scena dei problemi tuoi” o ancora Bra, acronimo per Bello Ragionarci Assieme.
Lo spettacolo contiene un altro luogo comune: che basta metterlo in scena decentemente, con le luci giuste e i movimenti corretti, per scavarsi una comoda fossa nel cimitero del teatro ben fatto. Gli attori sono anche dei bravi marionettisti; le marionette sono espressive; qualche buona trovata registica si vede. Alcuni momenti sono un po’ lunghetti ma si sa, signora mia, la perfezione non esiste. L’importante è che tutto il puntiglio e la severità di cui sopra abbiano svelato i marosi interiori dell’autrice e regista. Allo spettatore emozioni come le macchine di seconda mano reclamizzate da una pubblicità di questi giorni: l’usato senza il suo passato.