“La bisbetica domata” di Shakespeare, regia di Loredana Scaramella, con Carlotta Proietti e Mauro Santopietro. Al Globe Theatre di Roma
Un sogno fascista: la doma della donna
Quasi tocca recuperare il lessico dell’avanspettacolo – il siparietto, lo stacchetto, l’intermezzo – e ripassare i ruoli delle vecchie compagnie, la soubrette, la soubrettina, il comico, l’attore di spalla, il brillante, il boy, il fantasista e le sei ballerine, più esattamente dodici gambe che qui non ci sono perché tutto sommato questa resta comunque La bisbetica domata di Shakespeare. Però insomma al Globe di Roma s’è fatto proprio teatro popolare, tre ore con l’intervallo che appunto è un intermezzo d’attori e musici che restano in scena a ballare, suonare, cantare mentre gli spettatori stanno un po’ dentro e un po’ fuori dalla sala, a metà fra la voglia di fumare e il desiderio di guardare.
Teatro popolare vuol dire che la crisi del teatro non c’è, la biglietteria lavora quanto un venditore di ghiaccio nel Sahara e il pubblico all’uscita, denso come quello d’un concerto rock, parla dello spettacolo innanzitutto e solo dopo di pizzerie. Sembra di essere tornati agli anni Trenta, alle platee delle arene estive dalla franca risata, gli spettatori l’uno sopra l’altro, un po’ di brezza serale per fortuna a soffiare frescura nel mucchio degli umani. E proprio negli anni del fascismo la regista Loredana Scaramella ha ambientato la commedia shakespeariana. L’ha un po’ distorta, l’ha tradotta, adattata e messa in scena ai tempi storici dell’avanspettacolo di modo che tutti quei balletti e tip-tap e sketches infilati senza il permesso del Bardo fossero adeguatamente giustificati. Ha così offerto ai suoi attori ogni possibilità di dispiegare l’ampiezza del loro talento, in special modo a Carlotta Proietti che fa il non facile ruolo del titolo, canta, recita, si esalta in scena quasi come una show-woman senza però mai perdere il personaggio di Caterina. Lo spettacolo è pensato per valorizzarla ma la Scaramella ha il pregio d’avere la capacità di organizzare il palcoscenico, i movimenti, la coralità di un collettivo, e sa dirigere gli attori, li mette tutti nelle condizioni di dispiegare il meglio. Ha il difetto di inzeppare lo spettacolo, ci mette dentro tanta roba – e canzoni e canzonette e scenette e macchiette – non sempre nei punti giusti peraltro, sicché qui è troppo pieno e lì troppo vuoto. Il ritmo è un filo teso sul quale tenere in bilico lo spettatore fra l’aspettativa e la sorpresa.
La protagonista, Carlotta Proietti, è un’artista di palcoscenico completa, molto capace al canto e all’interpretazione. Possiede una mimica e una gestualità altamente espressive senza essere forzate, non la si coglie mai in atteggiamenti inutili, in pose esibizionistiche, è sempre giusta in ciò che fa. Possiede i sensi che servono a un interprete: il senso del pubblico, del palcoscenico, del personaggio, della battuta.
Mauro Santopietro fa un Petruccio come l’arte vuole, sopra le righe giustamente, visto che deve piegare l’infernale Caterina, ma con la sotterranea malinconia del personaggio che l’autore ha costretto a una selvaggia e grottesca mascolinità quando tutto sommato ambirebbe a vivere in santa pace l’amore per la sua bella. Commedia su un sogno antifemminista (aggettivo anacronistico per il tempo di Shakespeare) nella quale Petruccio s’ingegna alla doma della donna. Però l’interprete tira fuori dal personaggio un aspetto di maschio ridicolo, di rodomonte buffone, annunciato all’inizio dello spettacolo dalla sua interpretazione del gerarca fascista, tutto uniforme e saluti romani. Così la sottomissione della femmina si manifesta come il desiderio grossolano di un maschio primitivo – i fascisti sono dei primitivi – alla ricerca di una falsa autoritaria armonia di coppia.
Da citare il quartetto “William Kemp” che suona dal vivo: al violino Adriano Dragotta, sassofoni Lorenzo Perracino, chitarra Franco Tinto, contrabbasso Daniele Ercoli. Scene di Fabiana Di Marco, costumi di Susanna Proietti, luci di Umile Vainieri che all’inizio paiono troppo cupe per una commedia ma poi si chiariscono le ragioni. Il collettivo degli altri quattordici attori è talmente buono e affiatato e gioioso, dall’ampio respiro teatrale che si spera di vederli tutti insieme in prossime occasioni.