“Dopo la pioggia” su liriche di Benedetti Rousseau ai teatro di Documenti

4 all'ingresso del parco le statue accolgono i visitatori con acqua profumata

Una poetessa nella mente di un genio

Dopo la pioggia è uno spettacolo come se ne facevano trent’anni fa, tratto da un’omonima raccolta di liriche di Françoise Benedetti Rousseau. Questo delicato oggetto poetico è calato nel meraviglioso Teatro di Documenti che negli anni ’80 Luciano Damiani, grande innovatore della scenografia italiana del Novecento, costruì dentro le grotte secentesche del Monte Testaccio di Roma. Un’impresa solitaria e totale, concepita sull’idea di nuovi rapporti tra attore, spettatore e teatro, un labirinto bianco di sale, salette, botole, scale, stanze, passaggi, locali, camerini, depositi, diviso in un “teatro della luce” e un “teatro dell’ombra”, in sogno e realtà, spirito e materia. Il teatro come la mente di un genio.
Allestire in un luogo così puro, puro perché non sembra presentare distorsioni fra il pensiero del creatore e la sua creazione, è un’impresa difficile. Lo spazio rischia sempre di apparire più forte dello spettacolo. Ma se la regia entra in armonia con questo spazio e riesce in un certo modo a danzare con l’anima di Damiani, scomparso nel 2007, allora allo spettatore è dato di sperimentare il teatro come rapimento, come navigazione in un altro tempo. Anna Ceravolo regista ha materializzato le poesie di Benedetti Rousseau mettendo in scena visioni: una giovane soprano coreana in frac canta le parole della poetessa mentre corre su una bicicletta da passeggio e viene improvvisamente interrotta dalla frenetica performance di un ballerino di hip-hop; una spazzina vestita di bianco scopa con la ramazza le foglie morte mentre passa un angelo con due grandi ali bianche e le scarpe da ginnastica rosse; due pittori prendono posto davanti al pubblico e nel corso dello spettacolo disegnano il ritratto di uno spettatore: la rappresentazione non è solo guardata ma a sua volta osserva. Si mette in scena una città quindi, una particolare città della mente su cui la natura posa il suo sguardo di fiori, di vento, di erba, rose e uccellini e si distende dolcemente sul paesaggio urbano e sul cemento.
Questo è uno spettacolo sullo stupore, sull’armoniosa stranezza delle cose, sulla sorprendente singolarità della vita e del tempo. Tutti da citare gli attori assieme ai poetici ruoli che interpretano: Chiara Condrò è la Bambina Angelo; Silvia Lee, la Rondine Canora; Cristina Maccà, la Spazzina Filosofa; Marco Schiavi è il Ballerino di hip hop; Simone Del Vecchio il Pittore e Annarita Pontone, la Pittrice.
Le musiche originali per le poesie sono composte e suonate da Rosa Bianca, gli altri pezzi sono di Vivaldi (Le quattro stagioni), di Offenbach (il Can Can), e Rossini (Il preludio al Guglielmo Tell).
L’associazione Teatro di Documenti aveva tra i fondatori, oltre a Luciano Damiani, anche Luca Ronconi e Giuseppe Sinopoli. Ronconi e Sinopoli consideravano questo spazio la realizzazione di un genio. Ora che tutt’e tre sono scomparsi, il teatro è gestito dagli “Amici del Teatro di Documenti”, di cui presidente e direttore artistico è la scenografa e costumista Carla Ceravolo. Dopo un taglio del 40 per cento, il teatro percepisce dal Fus (Fondo unico per lo spettacolo) 20mila euro l’anno. L’elemosina di una Repubblica stracciona governata da pezzenti. Non riceve un euro dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio. Il complesso ha problemi d’infiltrazione d’acqua, dovuti al fatto che sta dentro le grotte di Testaccio, condizione fascinosissima e unica ma anche problematica. Necessita quindi di interventi di salvaguardia seri. Il Documenti è un capolavoro del genio italiano che onora Roma e il paese. Ma non si può pretendere che gente come Ignazio Marino sindaco di Roma e Nicola Zingaretti presidente della Regione, e in subordine i loro assessori alla cultura Giovanna Marinelli e Lidia Ravera, capiscano l’importanza di un teatro e in particolare dell’opera di Damiani. Non si può pretendere.

Marcantonio Lucidi,
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