“Clara Schumann, nata Wieck” di Antonio Serrano e Gianna Paola Scaffidi, ai Conciatori
Un genio contro i topi
La ragione per la quale i piccoli teatri non devono sparire e anzi moltiplicarsi, malgrado la volontà di un governo e di un ministero della cultura che alla loro distruzione evidentemente mira, è che costituiscono il respiro di una città. È molto più importante, più civile, più utile all’intelligenza della popolazione che vi sia una pluralità di spettacoli come Clara Schumann, nata Wieck di Antonio Serrano e Gianna Paola Scaffidi, regia del primo e interpretazione della seconda al teatro dei Conciatori di Roma, che i famigerati e culturalmente indegni eventi di veltroniana memoria o un teatro stabile grosso come una piovra e controllato da mani politiche. Ma il potere, che è il nemico dei cittadini, fa di tutto, inventa qualunque cosa, per impedire che la città viva di intelligenza e di arte. Il nemico propina l’idea schifosa che la cultura sia il petrolio di questo paese in modo da musealizzarla, mummificarla, e renderla un gadget nauseabondo per il turismo di massa: Pompei e il Foro romano non sono più valori, sono merce giustificata dall’uso truffaldino della parolina magica “cultura”. L’importante è che sia morta, questa cultura, perché se gli italiani osano farla vivere, crearla e diffonderla, qui e ora, allora devono essere trattati come un pericolo mortale e gettati in una condizione di indigenza, vanno affamati come il nemico sta facendo con il mondo del teatro. La disperazione devia il pensiero verso il problema della sopravvivenza. Il nemico ha imparato la lezione dagli anni Sessanta e Settanta, quando alle istanze rinnovatrici della società italiana s’accompagnava una straordinaria vitalità delle scene. Questo nemico che negli ultimi tempi ha cambiato pelle, si è mimetizzato per diventare più infido. Uno dei mezzi per contrastarlo è ignorarlo e resistere, facendo spettacoli con niente, senza soldi, con una sedia, dei bravi attori, dei buoni testi, una coscienza civile, con un teatro carbonaro inzuppato di idee e arte. Non ci si dovrà stupire se un giorno qualcuno appenderà alla porta di una sala il cartello: “Vietato ai cani e ai politici”.
Lo spettacolo di Antonio Serrano è quanto di più semplice ci possa essere e solo un pianoforte, suonato da Biagio Andrulli che esegue musiche di Robert Schumann e di sua moglie Clara, arricchisce l’allestimento. Si sta nel 1856, pochi giorni prima della morte di Robert in un ospedale psichiatrico. Clara, concertista di fama internazionale, rievoca la sua vita con il grande compositore romantico. Scorrono per le sue labbra nomi di geni totali, Chopin e Brahms naturalmente che era un grande amico della coppia, e Paganini di fronte al quale, bambina prodigio, Clara si esibirà al pianoforte. Ne viene allo spettatore una specie di nostalgia, il sospiro di non aver vissuto quei tempi e quel mondo, di non aver potuto frequentare quella gente. Non era una società migliore, da quanto dice Clara non era una vita più facile, gli uomini non parevano migliori – il padre della musicista, Friedrich Wieck, insegnante di pianoforte, odiava il genero e ne invidiava l’immenso talento. Però in quel momento storico il genio artistico aveva più possibilità di esprimersi, s’avvaleva d’una dignità universalmente riconosciuta e soprattutto non era divorato da quei ratti della politica che intendono l’arte come un idrocarburo per accendere motori di macchine e fabbricare le tazze in plastica dei cessi.
Gianna Paola Scaffidi è un’ottima Clara Schumann, romantica nel suo bel vestito d’epoca, ma senza inutili preziosismi recitativi. L’attrice monologante resta asciutta, essenziale, non si lascia attrarre dal luogo comune della femmina romantica quindi svenevole. Il suo obbiettivo è rendere umano il genio, mostrare che il talento scorre nella vita, nel travaglio, nella sofferenza e rimane intatto come l’oro sepolto nel fango di un fiume.