Pierfrancesco Poggi al teatro Lo Spazio di Roma con “Da così a così, 40 anni in scena”
Elogio dell’immobilità
Incominciare uno spettacolo con La valse à mille temps di Jacques Brel è una dichiarazione poetica. Ed è una proclamazione di appartenenza a un mondo novecentesco, molto francese naturalmente, che ha fatto della douceur de vivre forse il modo migliore di superare gli inferni della prima metà del secolo. In Pierfrancesco Poggi, attore e cantautore solista andato in scena per soli tre giorni al teatro Lo Spazio di Roma, vi è una dolcezza, una specie di ritrosia, un qualcosa di femminile (di femminile, non di femmineo) che amplifica il suo umorismo fondato sulla sottrazione, sul “non ci sono e se ci sono, sono arrivato senza rumore”.
Per esempio, il monologo della sarta che parla di una pornostar autrice di un’autobiografia potrebbe essere di una trivialità squillante ed invece si svolge con una morbidezza salace. Poggi dice e non dice, appunto c’è e non c’è. Il rifiuto della volgarità, della violenza verbale, rappresenta una forma grave di contestazione al potere, alla politica, alla televisione e ci si stupisce che non siano ancora arrivate le guardie a fermare lo spettacolo dell’artista, questo pericoloso estremista della calma e dell’ironia che osa perfino fare un po’ di cultura citando Salvatore Di Giacomo.
Per due ore, Poggi canta le sue canzoni e prende in giro tutti e tutto, anche gli omosessuali, perché si può scherzare sempre, soprattutto in anni di ridicole e piccolo-borghesi censure. E sfotte anche se stesso quando racconta d’una volta di tanti anni fa che, troppo timido per promuoversi al cospetto di un produttore discografico, gli infilò di soppiatto nella tasca della giacca una cassetta di sue canzoni. I timidi esistono e a volte sono molto resistenti. Poggi ha il volto di uno capace di mettersi sulla pista di un aeroporto con la chitarra a cantare per protestare contro la mania moderna della velocità e ricordare che i viaggi, nelle sue canzoni, nel mondo, nel paesaggio degli esseri umani, si fanno con lentezza. Infatti lo spettacolo s’intitola Da così a così, 40 anni in scena per dire che si guarda e si vede meglio da fermi. Fermi per decenni. Elogio dell’immobilità. Al pianoforte Stefano De Meo.