“Aiace” di Ghiannis Ritsos, regia di Graziano Piazza, interpretazione di Viola Graziosi. Al teatro Lo Spazio di Roma
Nuovo è il mondo antico
Se la tragedia è morta, come sosteneva George Steiner in un suo famoso saggio, forse si potrebbe incominciare ad uccidere anche la recitazione tragica, ieratica, enfatica, retorica. Infatti quando Viola Graziosi, attrice monologante diretta da Graziano Piazza al teatro Lo Spazio di Roma, abbandona la solennità tipica dell’interprete che “sta facendo la tragedia”, ecco che il bellissimo testo del grande poeta greco Ghiannis Ritsos, Aiace, tradotto da Nicola Crocetti, si dipana con la quieta grandezza della semplicità. Si entra nella tragedia contemporanea della morte degli eroi, che furono gli intermediari fra gli uomini e gli dei, quindi si entra nel tempo dell’assenza, della solitudine, del relazionale sostituito dal razionale, senza grandezza né assoluto, senza il sogno degli spiriti di densa corporeità che innalzano la loro materia nell’iperuranio al di là delle sfere celesti. Si sta in un mondo orizzontale dimentico del verticale, dell’ascesa, dell’ascesi, dove l’oltre è caduto nell’altro, un nostro pari, un paria senza più dito per indicare la luna.
Non c’è più Aiace figlio di Telamone e nipote di Eaco a sua volta figlio di Zeus; Aiace il più valoroso dei Greci nell’Iliade dopo il cugino Achille; Aiace dilaniato dal dolore di non vedersi aggiudicare le armi del pie’ veloce e che, accecato da Atena, fa strage di greggi credendo di vendicarsi sugli Achei e muore infine, una volta tornato in sé, suicida per la vergogna.
A parlare è Tecmessa, la moglie. Ombra d’eroe è il suo uomo, il sole del suo mito si spegne nel sangue dell’oblio, l’anima d’Aiace se ne va nell’Ade della Storia, dove sono confinati i morti immortali, noi d’oggi non eroi siamo morti mortali, raggi di niente nella sabbia e nell’acqua, una donna piange ciò che non saremo mai. Nulla resta all’attrice se non divenire Aiace, narrare è essere ciò che si narra, Graziosi è Tecmessa che è l’eroe, gli uomini sono assenti, la donna è presenza, dal grembo della sua mente esce nuovo il mondo antico, i maschi non lo abitano, lei porge ed è sola.