“Le tate” di Alessandra Panelli al teatro Due di Roma

foto Le Tate

Le tate, fate della terra di mezzo

Ci sono degli spettacoli per bambini e ci sono degli spettacoli per grandi (per grandi, non per adulti). Le tate, scritto e diretto da Alessandra Panelli nasce dal momento in cui l’autrice ritrovò, tempo addietro, un diario della sua nonna materna Etre Rontini. Etre è un nome a dir poco singolare: il padre, ch’era un toscano molto laico, chiamò i suoi figli in ordine di arrivo. Euno, Edue, Etre. Questa è la sbrigatività toscana, la vita è breve e non si può perdere tempo coi santi. Etre si maritò a un giornalista importante ai tempi suoi, Aldo Valori e ne ebbe cinque figli, fra cui l’indimenticabile attrice Bice Valori che avrebbe avuto da un altro grande artista della scena, Paolo Panelli, la figlia Alessandra.
Famiglia di “signori”, come si diceva una volta, nella quale i fantolini erano tirati su dalla tata, duplicazione della sillaba “ta” nel balbettio dei bambini. Non sempre delicate, non sempre tate-fate, in certe case potevano girare lanzichenecche svizzero-tedesche o delle potenti franco-indocinesi figlie di legionari. Ma le bambinaie, o Fräuleins o demoiselles a seconda della nazionalità delle signorine, erano anime custodi, rappresentavano delle porte chiuse a dividere il mondo dei grandi da quello dei bambini. Porte che a volte si socchiudevano e lasciavano passare vento e spifferi e rumori, persino i fuochi e i fulmini delle battaglie adulte (magari adulterine) nelle stanze delle infanzie protette.
Panelli racconta la danza dei bambini e delle tate, queste creature d’una terra di mezzo, sotto i misteri foschi, pericolosi ma talmente attraenti, dei grandi, sotto la storia dei destini individuali e collettivi: la guerra, gli americani e la loro carne in scatola che ancora negli anni Cinquanta sono prossimi come il mezzogiorno all’una del pomeriggio; poi gli anni Sessanta, la scuola dalle suore e il timor di dio, Twiggy, la minigonna, la canasta, le madri che non c’erano mai e i padri inesistenti, girandole rotanti nei cocktail, nei teatri, nella vita. E le estati a Forte (Forte dei Marmi) d’una borghesia che non esiste più, tutto sommato colta, una borghesia da vernissage di Mimmo Rotella, e a suo modo cosmopolita perché Parigi finalmente è lì, a un’ora e mezza di volo Caravelle.
Le tate leggono i fotoromanzi Lancio, proibitissimi alle jeune filles en fleur scombussolate dal loro primo ciclo, perché gli amorazzi che vi si raccontano guastano il gusto. Ma già la bambinaia sarda accenna alle prime rivendicazioni salariali, gli straordinari, le ferie, la domenica di riposo, e annuncia le prossime durezze del conflitto sociale, mentre la scanzonata e tollerante tata romana consolerà la bambina divenuta una pericolosa adolescente contestataria d’un aborto clandestino a Londra. Adesso nella stanza dell’infanzia è entrata la Storia e anche le tate devono abbandonare la loro terra di mezzo e riprendere la loro strada. La bambinaia ligure, la più indifesa, così timida, sottomessa, affettuosa, che aveva visto il mare per la prima volta a 17 anni, una ligure di montagna, e subito dopo era partita per Roma a lavorare, non serve più ma può restare in casa se non sa dove andare, senza stipendio tanto ormai è di famiglia dopo tanti anni di servizio, vecchia adesso e zitella.
Tre sedie in scena e tre attrici – Costanza Castracane, Sofia Diaz, Barbara Porta – che fanno tutti i ruoli, le tate, le bambine, le nonne, e senza confusione grazie anche a una regia di mano lieve e precisa a cui bastano pochi segni per far capire chi è chi in quel preciso momento. È proprio una regia di segni che la Panelli offre, costruita su delle interpreti capaci di cambiare personaggio, età, modi di parlare e di dire, con appena una postura, un movimento delle gambe e delle mani, un cambio di tono e di accento. Il testo è un tutt’uno con la messinscena, si fondono in un’unica idea, una sorta di globo sospeso a mezz’aria pieno di coraggiosa nostalgia non retorica, di rimembranze femminili mai svenevoli.
Al teatro Due di Roma fino al 26 aprile.

Marcantonio Lucidi,
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