“L’anatra all’arancia”, versione di Marc-Gilbert Sauvajon da William Douglas-Home. Regia di Luca Barbareschi anche interprete assieme a Chiara Noschese. All’Eliseo di Roma
La mia scena sono io
Per fortuna che il buon dio ha inventato Luca Barbareschi, altrimenti il creatore della grande scena del mondo non avrebbe saputo veramente cos’è la scena degli uomini da Eschilo ad oggi. E si sarebbe perso lo spettacolo di un’ottima commedia come L’anatra all’arancia, in scena all’Eliseo di Roma, sconvolta dal mattatore di via Nazionale, regista dell’allestimento ed interprete nel ruolo che negli anni Settanta al cinema fu di Ugo Tognazzi e a teatro di Alberto Lionello.
Se la rappresentazione teatrale è un’opera collettiva in cui spiccano delle individualità, per Barbareschi è un’attività individuale in cui affonda un collettivo. Ci sono dei momenti durante la rappresentazione in cui Chiara Noschese, nella parte che fu di Monica Vitti e di Valeria Valeri, si siede sul divano (in questo tipo di commedie il divano è quasi un vero e proprio personaggio) e dà l’impressione di mettersi semplicemente a guardare cosa combina il collega in attesa che si fermi. Lui, Barbareschi, salta e zompa, parla e declama, cammina a grandi falcate e si blocca all’improvviso, si gira e si rigira, si alza e s’abbassa, fa ogni sforzo insomma per mostrare tutto l’egocentrismo di Gilberto, il ruolo protagonista che si è riservato, a tal punto che diventa difficile distinguere dove finisce la persona e dove incomincia il personaggio. Perché nel testo di William Douglas-Home (titolo originale The secretary bird), qui proposto nell’adattamento del francese Marc-Gilbert Sauvajon, il personaggio appare effettivamente un narciso di prima forza ma che abbia il compito di sfondare la commedia non è certo.
Quando poi il mattatore Barbareschi esce di scena (raramente perché il testo lo vuole quasi sempre presente), sullo spettacolo cala come una specie di quiete e la commedia timidamente sembra far capolino: il tornado è andato dietro le quinte e si può approfittare di qualche minuto per dispiegare i sofisticati meccanismi teatrali dell’Anatra all’arancia. Comunque la storia, qui un po’ rimaneggiata da Nicoletta Robello Bracciforti, rimane godibile: Lisa decide di mollare il vanesio, egoista, fedifrago marito e di andare via con l’amante. Gilberto propone alla moglie di passare un ultimo week-end insieme invitando anche la sua segretaria sexy e il rivale. La comicità sta nella strategia adottata dal protagonista di progressiva ridicolizzazione del terzo incomodo agli occhi della consorte. Teatro di boulevard quindi e come tale un gioco di battute, di equivoci, di tradimenti e soprattutto di riconquista amorosa.
Tuttavia, siccome Barbareschi invade tutto lo spazio, ci si chiede per quale motivo Lisa non scappi prima di subito assieme al suo nuovo maschio, interpretato con una compostezza ironica e un distacco sornione da un ottimo Gianluca Gobbi. Lisa è Chiara Noschese che cerca di recitare per così dire controvento, attenta soprattutto a non lasciarsi scompigliare troppo il personaggio dal mattatore e s’impegna con dignità in un lavoro di navigazione nella commedia. La segretaria Patricia Forsyth detta Patty Pat, qui ribattezzata Chanel Pizziconi che fa tanto shampista di Abbiategrasso, è affidata a Margherita Laterza, la quale confonde la seduzione con la sedizione alle più semplici norme del recitare. Ernesto Mahieux interpreta il cameriere ritagliandosi un personaggio a parte, come se provenisse da un’altra regia. Ma non importa, dopotutto L’anatra all’arancia è una commedia perfetta per i giorni di festività, il pubblico ha applaudito soddisfatto, a volte la demolizione si rivela spettacolare quanto la costruzione. Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barbareschi.