“Paradiso 2.0” di David Javerbaum, con Roberto Ciufoli diretto da Nicoletta Robello Bracciforti. Al Piccolo Eliseo di Roma
Le scarpe da ginnastica non bastano
David Javerbaum è un autore americano che ha vinto vari premi e Roberto Ciufoli è un bravo attore italiano di successo che nella sua trentennale carriera ha fatto molte cose, dagli spettacoli comici con il quartetto La premiata ditta alla commedia musicale di Garinei e Govannini fino al teatro di Luca Ronconi. Quindi Paradiso 2.0, in scena al Piccolo Eliseo, dovrebbe assicurare al pubblico una buona serata. Invece non funziona per una serie di motivi, il principale essendo molto semplicemente che l’amalgama non riesce. Spettacolo molto statico, molto freddo, l’impressione è che Ciufoli non sia convinto di ciò che fa e che non abbia trovato la misura. Cerca un ritmo, allunga le battute, le accorcia, lavora sui toni, ma sembra insicuro e finisce spesso fuori tempo.
La regia di Nicoletta Robello Bracciforti che dovrebbe guidare l’interprete in questa che si presenta più o meno come comicità demenziale, ha poche idee e si limita in buona sostanza a piazzare Ciufoli su un divano e suggerirgli qualche movimento. Un secondo attore, che fa l’arcangelo Michele con tanto di ali sulla schiena, interloquisce dalla platea per muovere un po’ lo spettacolo ma è una pensata che sta come un francobollo su una lettera spedita a un indirizzo sconosciuto. L’arcangelo Gabriele, alato pure lui, passa il suo tempo chino su una Bibbia. L’azione, se così si vuole chiamarla, si svolge quasi interamente in proscenio in uno spazio ridottissimo nel quale lo spettacolo non riesce a dispiegarsi anche visualmente, scotto pagato solo in previsione di un effetto finale di pochi minuti quando scompare un fondale per rivelare una gabbia di ascensore. Un classico caso in cui si perde molto per guadagnare poco e nulla con una trovata. Il testo originale è stato adattato dalla regista e dal protagonista con inserimenti ad uso del pubblico italiano, tuttavia la domanda che sempre a teatro dovrebbe avere risposta non muta: perché hanno fatto questo spettacolo?
Si racconta di Dio in scarpe da ginnastica che si è stufato di come vanno le cose nel mondo da lui creato, evidentemente imperfetto e poco soddisfacente. Allora propone dieci nuovi comandamenti: primo non avere altro dio, secondo non fornicare, terzo non uccidere in mio nome e via così, separerai me e lo Stato, non cercherai di avere un rapporto personale con me, non mi dirai quello che debbo fare. Il testo è in sostanza la glossa a questi comandamenti, con citazioni dalla soap Beautiful e richiami a un ministro (il cui nome merita l’oblio) al quale era stata pagata una casa davanti al Colosseo “a sua insaputa”. Qualche battuta di tanto in tanto accende la speranza che lo spettacolo possa decollare ma più che la delusione poté il dispiacere di vedere questo bravo attore dibattersi dentro un testo e una regia inconsistenti, con la stessa carica comica d’un volantino pubblicitario dei saldi invernali. In scena anche Beppe Chierici e Michele Sinisi che non per colpa loro, piuttosto per come vengono impiegati nell’economia dello spettacolo, ricordano una vecchia boutade di Winston Churchill, perdente alle elezioni del ’45, contro il suo successore: “Un taxi vuoto si è fermato davanti al numero 10 di Downing Street e ne è sceso Clement Attlee”.