“Macbeth” di William Shakespeare, regia di Luca De Fusco, con Luca Lazzareschi e Gaia Aprea. Al Quirino di Roma

macbeth

Ti darò l’intelligenza delle luci,

almeno un po’ di teatro si farà

 

C’è una forte aria di destra per il mondo, un vento teso di conservazione, anche in Italia dove lo smontaggio definitivo di una sinistra non più sinistra è stato affidato a un democristiano allevato dai boy-scout. Ed in tempi come questi di ritorno del Rischiatutto televisivo, il teatro, che è sempre contemporaneo, produce la rappresentazione di Stato, come avrebbe detto Carmelo Bene. La rappresentazione di Stato si sostanzia in un certo tipo di allestimento formalmente inattaccabile, con le luci giuste, la scenografia giusta, i costumi giusti, tutto preciso, tutto ben fatto, tutto corretto, una situazione da dove l’arte fugge in gramaglie. Il Macbeth diretto da Luca De Fusco, in scena al Quirino di Roma con Luca Lazzareschi nel ruolo del titolo e Gaia Aprea a fare Lady, offre una dimostrazione di cos’è la forma senz’anima. Nella presentazione dello spettacolo si legge: “ Navigando sul confine tra teatro e video, si potrà incrociare qualche citazione cinematografica (ad esempio Kubrick) ma anche riferimenti alla pittura surrealista di Delvaux, Magritte, Dalì”. Ottimo. Svelate le citazioni, ci si chiede: De Fusco dov’è?
Potrebbe essere interessante tutto sommato sapere qualcosa del regista, quali sensazioni prova quando legge il testo shakesperiano, cosa ne pensa, che rapporto ha con i personaggi, che tipo di immagini albergano nella sua mente oltre che in quella del suo bravissimo light designer Gigi Saccomandi. Perché in fondo anche la regia è interpretazione, non solo lussuosa messinscena con dei video che rilanciano in primo piano i volti di Lazzareschi e di Aprea a sottolineare didascalicamente i monologhi e i passaggi salienti del dramma: guardate bene, gente di platea, questo è un momento topico, De Fusco vi mette Luca e Gaia su grande schermo, guardate le facce, oh, la loro intensità, la loro icasticità, e se Lady non è molto fotogenica che importanza ha?, l’importante è l’effetto.
Lazzareschi è certamente un bravo Macbeth, preciso, corretto, accurato, meticoloso, scrupoloso, puntuale, mai in anticipo, mai in ritardo, sempre in orario: una recitazione Bulova, salvo forse quando affronta il famoso monologo dopo la morte di Lady: “Spegniti, spegniti breve candela!/la vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore/che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena/e del quale poi non si ode più nulla: è una storia/raccontata da un idiota, piena di rumore e furore/che non significa nulla”. Qui pare di sentire finalmente l’attore che impegna la sua anima e interpreta con vera intensità uno dei passaggi più famosi del teatro occidentale. Diversa appare la qualità del lavoro di Gaia Aprea, la quale seppur senza particolari cadute recitative fa una Lady Macbeth così invariabilmente feroce da perdere in efficacia perché esprime una sola caratteristica del personaggio e quella più ovvia. Una Lady monocromatica come un muro d’ospedale.
Quanto agli altri attori, tutta gente del mestiere che sa stare in scena, De Fusco li dirige alla stessa maniera: sembra chiedere professionismo, non arte; forma e non contenuto; della recitazione vuole la confezione – classicheggiante, rigida, ben chiusa – ma non la torta che è la ragione per cui si va in pasticceria, non l’anima, la ragione per cui si va a teatro.
Uno spettacolo patinato alla maniera di una pubblicità del Campari, indubbiamente ben fatto, ma artificiale, astuto, pieno di spot visivi e citazioni, freddo e in un certo modo antipatico come un dirigente di banca impeccabilmente vestito, profumato di Eau de Caron, cravatta di Marinella e scarpe inglesi, che legge l’estratto di conto corrente di una centralinista di call center. Si è passati in questi anni di imbastardimento destrorso della sinistra dal centralismo democratico al centralinismo democratico. E si è parallelamente giunti dal teatro di ricerca al teatro di trovata.

Marcantonio Lucidi,
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