“Ostaggi” scritto e diretto da Angelo Longoni, con Michela Andreozzi, Jonis Bascir, Pietro Genuardi, Gabriele Pignotta e Silvana Bosi. Alla Sala Umberto di Roma
Quel pomeriggio di un giorno qualunque
A proposito di Ostaggi, scritto da Angelo Longoni e da lui messo in scena alla Sala Umberto di Roma, chi per caso ancora oggi pensasse che la drammaturgia italiana contemporanea non esiste o non funziona o non è teatrale, intelligente, efficace, divertente, ironica, impegnata, ben strutturata e moderna dovrebbe farsi un po’ di giri per i teatri che la programmano.
Questa diffamazione della produzione drammaturgica nazionale deve finire, anche perché è conseguenza di vari errori fatti nel passato e non sempre dagli autori: il nostro sistema produttivo e distributivo ha per anni privilegiato i morti a scapito dei vivi perché riteneva i primi più sicuri dal punto di vista della resa al botteghino; troppo spesso sono stati messi in scena testi italiani mediocri perché scelti con logiche che nulla avevano a che vedere con la qualità e neanche con le previsioni d’incasso; ci si aspetta sempre dall’autore italiano che tiri fuori il capolavoro che confuti il luogo comune sull’incapacità nazionale di scrivere roba buona e se invece scrive una pièce sbagliata tutta la categoria ne paga il prezzo per arbitraria conferma del luogo comune stesso; il solito provincialismo nostrano giustifica certi bidoni anglosassoni che per il solo fatto di essere scritti in inglese apparterrebbero a una grande tradizione autorale; il colonialismo culturale angloamericano, teatrale, cinematografico e televisivo, verso il quale al contrario dei francesi siamo particolarmente sensibili, ha imposto modelli e stilemi non italiani.
Inoltre, un grande drammaturgo del passato ha scritto oltre duecentoventi opere che riempiono quattordici volumi fra commedie, tragicommedie, tragedie romanzesche, drammi per musica, drammi giocosi per musica, intermezzi per musica. Si chiamava Carlo Goldoni e delle sue opere ne vengono rappresentate oggidì circa una ventina, il dieci per cento. Chi ricorda più Oronte re de’ Schitti e Arcifanfano re dei matti? Allora se un autore italiano vivente scrive di tutta la sua produzione un dieci per cento di lavori buoni, si deve innalzare subito la sua statua in Campo San Bartolomeo a Venezia accanto a quella di Carlo.
La scenografia (di Francesco Ghisu) della panetteria in cui si svolge l’azione di Ostaggi è magnifica e perfettamente funzionale. Questa è una commedia comica ma parla di disuguaglianze economiche e razziali, contiene dei risvolti sociali tipici della sensibilità e dello sguardo sul mondo di Longoni. Un tizio inseguito dalla polizia perché ha rapinato una banca, entra nel negozio e prende in ostaggio il panettiere, una vecchia signora, una prostituta di lusso oggi detta escort e un siriano immigrato clandestinamente. A questo punto tutto si svolge come in un acquario, Longoni osserva cosa fanno questi cinque pesci umani molto diversi fra loro e costruisce un gioco di relazioni fondato su alcune pulsioni fondamentali: la paura, la generosità, la solidarietà, l’inimicizia, l’opportunismo, il disprezzo, la disperazione. Ognuno dei personaggi offre un lato comico o grottesco e uno tragico ed è questa miscela che sorregge il dialogo. Le battute, molto divertenti, non sono mai fini a se stesse ma sorgono dalla natura dei caratteri inventati dall’autore. L’escort (interpretata da Michela Andreozzi) sfotte a colpi di cinismo romanesco e sciorina citazioni dal film di Sidney Lumet Quel pomeriggio di un giorno da cani, il siriano (Jonis Bascir) sentenzia per proverbi arabi, il panettiere (Pietro Genuardi) affonda nell’indegnità grottesca delle sue dichiarazioni razziste, il rapinatore (Gabriele Pignotta) urla e sventola la pistola in un’agitazione ridicola da mosca intrappolata in un bicchiere. Poi però lentamente si aprono le celate scatole personali dei drammi della vita. C’è un dettaglio alla fine dello spettacolo che dice molto del modo di Longoni di disegnare i personaggi: dopo tutto il trambusto paradossale combinato da un criminale inesperto e nevrastenico, le ridicolaggini, le angosce, i colpi di scena, l’anziana donna (Silvana Bosi) si avvicina alla cassa e lascia spontaneamente i soldi della spesa che aveva fatto prima che tutto incominciasse. Lei rappresenta una certa vecchia Italia, onesta, laboriosa, con una pensione da fame, una vita disgraziata, una schiena piegata eppure dritta e dignitosa. Un gesto chiaro ma senza sottolineature, chi dalla platea lo nota capisce.
Gli attori, un gruppo ben assortito e stilisticamente coerente, lavorano all’altezza dello spettacolo: comici, drammatici, perfettamente in parte, capaci ognuno di impostare con precisione e semplicità il proprio personaggio e di non abbandonarlo mai, diretti da una gran regia autorevole ma non autoritaria, tecnica ma non soffocante, spettacolare ma rapida e asciutta. Tanti applausi e meritati.