“La sorella di Gesucristo” di e con Oscar De Summa. Al Teatro Biblioteca del Quarticciolo di Roma
Ieri è come oggi
In alcuni momenti, Oscar De Summa ricorda il Giobbe Covatta prima maniera ma è più moderno e possiede molte frecce al suo arco: ha una capacità grottesca e surreale di lavorare sulla lingua, di giocare con i dialetti, di cambiare registro interpretativo, di passare dal comico al drammatico e attraversare passaggi intensi e poetici. Un senso molto sicuro dei tempi teatrali gli permette di affrontare attacchi difficili e risolvere con disinvoltura alcuni momenti pericolosi che lui stesso si è organizzato – perché evidentemente è cosciente dei propri mezzi – nel montaggio del suo spettacolo, proposto l’altra sera al Teatro Biblioteca del Quarticciolo di Roma. S’intitola La sorella di Gesucristo, se l’è scritto e lo interpreta da solo, impostandolo almeno inizialmente come un cabaret molto anni Ottanta che a prima vista potrebbe far dire che De Summa è un tipo di performer per il quale il testo conta fino a un certo punto e più o meno otterrebbe gli stessi risultati se gli si offrisse di portare in scena la favola di Cappuccetto rosso. Poi ci si accorge che lo spettacolo devia verso un monologo social-surreale in cui il testo è un elemento fondamentale e condiziona tutta la messinscena, sia dal punto di vista visuale che interpretativo. Per questo le proiezioni dei disegni di Massimo Pastore non sono un effetto superfluo, non rappresentano l’equivalente scenico di un bibelot sul tavolino del salotto, ma sono utili a definire l’immagine dei personaggi di provincia meridionale di cui parla De Summa, a precisare un’antropologia.
La vicenda si svolge a Erchie, paesotto pugliese, all’incirca negli anni Settanta – Ottanta. Maria, la sorella di Gesucristo, così soprannominato perché è bello, biondo, con i capelli lunghi, se ne va in giro con una pistola per vendicarsi di una violenza subita. E nel corso di questa camminata lungo la strada principale di Erchie, s’imbatte negli abitanti, i parenti, gli amici. Tutti i membri della comunità vengono chiamati ad interessarsi del fattaccio e della conseguente vendetta. Costretti a non ignorare, devono ciascuno a suo modo e secondo la propria visione delle cose, prendere una posizione. Emersione della coscienza collettiva e individuale, indagine su un gruppo umano.
Siccome al di là dell’ambientazione storica, di un certo esotismo del passato, di un’Italia a cui la memoria dà una coloritura folkloristica, i principi che informano i comportamenti sono sempre gli stessi, ecco che De Summa fa finta di parlare di ieri per raccontare l’oggi. Procedura quindi squisitamente drammaturgica in cui l’apparente lontananza temporale e antropologica del mondo richiamato produce in effetti un avvicinamento. A distanza, l’angolazione è più ampia.
La parte finale del monologo, in cui l’attore ha dato voce a tutti personaggi evocati, è molto chiara: “La storia dell’uomo è la storia dei suoi atti di violenza e la storia di Dio dei suoi atti di violenza contro di noi”. Molti applausi finali e meritatissimi, De Summa è un artista appagante, con un invidiabile istinto teatrale, una vis comica notevole e non banale doppiata da un gran senso di umanità.