“Sior Todero Brontolon” di Carlo Goldoni, regia di Paolo Valerio con Franco Branciaroli nel ruolo del titolo. Al Quirino di Roma

Sior Todero brontolon

Le donne sono donne, gli uomini solo maschi

Sior Todero brontolon è una commedia di Goldoni in cui come in altre sue, in primis La locandiera, le donne rappresentano l’intelligenza, la scaltrezza e il buon senso mentre gli uomini sono solo dei maschi. Il vecchio brontolone del titolo è uno zotico burbero, meschino e stupido ma anche gli altri e persino il giovane innamorato non emanano luce dal cervello. Epperò, madamine, il sesso debole costoro offre e bisogna accontentarsi.
La commedia fu rappresentata per la prima volta nel 1762 al San Luca, che oggi è il teatro più vecchio di Venezia, intitolato a Goldoni, e sta nei pressi di Rialto. Sior Todero brontolon ebbe successo perché i suoi tre atti sono molto spigliati, allegri, ben costruiti. Equilibrato nelle varie parti drammaturgiche e attorali, è un lavoro di bel mestiere drammaturgico e fu in passato interpretato da artisti del calibro di Cesco Baseggio, Gastone Moschin e Giulio Bosetti. Non si rappresenta più molto ma ora nel ruolo del titolo c’è Franco Branciaroli, attore che non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori, diretto al Quirino di Roma da Paolo Valerio. Un interprete siffatto ha un carisma, un piglio, un temperamento che cozzano con l’idea d’un teatro goldoniano realistico. L’autore scrisse nella prefazione alla sua prima raccolta di commedie datata 1750 che “quanto si rappresenta sul teatro non dev’essere se non la copia di quanto accade nel mondo”. Ma il mondo nella sua quotidianità è noiosetto, tocca dargli una spinta, smuoverlo un po’ altrimenti sulla scena fa venire il latte alle ginocchia. E siccome Goldoni è uomo di mondo, come s’evince dalle sue Memorie, ma è soprattutto uomo di teatro, tutti i battibecchi e dialoghetti della commedia, le smanie e corrucci del vecchiaccio, i gridolini, risolini, inchini delle signore con il loro continuo trescare e ricamare e raggirare, non appartengono al vero ma a una dimensione brillante, su di tono e “teatrosa” (se la parola esistesse) che ha dimora sul palcoscenico e s’anima di personaggi già pronti per gli attori.
La scelta della regia di dar lo spettacolo in originale, ossia in veneziano, appena diluito per la comprensione dei barbari forestieri nati fuor di laguna, riconduce l’azione ad intrigo di campiello col suo cicalare fitto più d’uno sciame d’api femmine (i maschi servono solo alla riproduzione), le entrate e uscite a ripetizione come alla porta d’un bacaro di San Polo. Un po’ museale invero l’allestimento e le parrucche – par di sentirne l’odor di stoppa fin dalla platea – fanno in scena la loro figura quanto in casa d’una famiglia d’antiquario un bel comò rococò che ora non si vende perché va di moda la cassettiera Ikea. D’altro canto, che si deve fare? La storia è proprio settecentesca. Il sior Todero, o sia il vecchio fastidioso come informa il sottotitolo, avaro, dispotico e odioso, intende dare in sposa a Nicoletto, un cretinetto figlio del fattore Desiderio, la nipote Zanetta. S’oppone a tale schifenza di progetto la madre della fanciulla e moglie di Pellegrin figlio di Todero: Marcolina ha in animo di combinare il matrimonio di Zanetta con Meneghetto, aiutata nel maneggio dalla cugina del giovane spasimante, la vedova Fortunata. Per fare girare come si deve questa combriccola di veneziani, sono necessari attori molto goldoniani, non naturalistici, non sospetti di attaccamento al vero, malgrado le accuse dei detrattori coevi di Goldoni, il Gozzi per esempio, che incolpavano il gran riformatore d’aver distrutto il meraviglioso e la fantasia della Commedia dell’Arte. Goldoni però non ha scritto una grigia storia di borghesucci, Sior Todero brontolon non è Tristi amori di Giuseppe Giacosa ma l’affresco colorito d’un mondo allegro e vivace che ha da essere sostenuto in scena con ironia e giocosità senza incoraggiare gli attori a buttare la recitazione nella farsa. Branciaroli ha in questo senso un compito non facile perché Todero è un personaggio sgradevole che certamente non suscitava le simpatie nemmeno del suo autore. L’attore non lo interpreta come una macchietta ma come un carattere, alla Molière, ridendoci sopra. Lo ridicolizza ma non lo infanga, evita di gettarlo nel subumano ma lo mantiene nell’umano, dove stanno i vizi, non le bestialità. Veloce nell’eloquio, nei movimenti, nei cambi di ritmo e d’espressione la Marcolina di Maria Grazia Plos, donna un po’ furiosa, verbosa e rumorosa ma quanto briosa e preziosa per lo spettacolo; la sua sodale Fortunata è interpretata da Ester Galazzi che sembrerebbe a un passo dal trasportarsi nel ruolo di Mirandolina per la malizia, la furbizia e la perizia d’intrigo che spande a piene mani assieme a una femminilità stuzzicante, gioconda, profondamente superficiale. Il Pellegrin di Piergiorgio Fasolo è una specie di maschio svirilizzato dalla strabordante personalità di Marcolina, uno che non vuole noie, non vuole guai e preferisce nascondersi dentro una cassapanca piuttosto che fare l’incudine fra i due martelli del vecchio e della moglie. Altro maschio non troppo maschio è Meneghetto che Emanuele Fortunati si guarda bene dall’innalzare a uomo e invece lo restituisce innamorato un po’ sprovveduto. Nicoletto invece con la voce in falsetto che gli dà Andrea Germani dovrebbe chiamarsi Siparietto e fa tutte cose sue fra il curiale, l’effeminato e il fessacchiotto.
Le scene sono di Marta Crisolini Malatesta e qui sta una delle trovate dello spettacolo perché l’ambientazione è una via di mezzo fra una casa e un teatro di marionette, che sono quelle dei Piccoli di Podrecca, molto belle, appese ai fili e a tratti manovrate dagli attori stessi. Ce n’è un’intera squadra fra le quali anche un Pulcinella. Questa è una stranezza per uno spettacolo così filologico: siccome non si può mai stare tranquilli, è sempre possibile che in mezzo ai suoi duecentodieci titoli circa, fra commedie, tragicommedie, tragedie, melodrammi giocosi, intermezzi musicali, cantate, oratori Goldoni abbia infilato un Pulcinella da qualche parte, ma si tratta di una maschera a lui assai estranea. Vederla sul palcoscenico del Sior Todero Brontolon è, diciamo, una licenza poetica. In scena anche Roberta Colacino (Zanetta), Riccardo Maranzana (Desiderio) oltre ad Alessandro Albertin e Valentina Violo.

Marcantonio Lucidi,
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