“Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello regia Geppy Gleijeses anche interprete assieme a Lorenzo Gleijeses. All’India di Roma
Regia d’attore, teatro all’italiana
Jennifer è un travestito con la parrucca bionda, le pantofole, una vestaglia nera pacchiana stampata a grossi fiori rossi, forse rose, forse broccoli travestiti da rose. Risponde a un telefono nero, l’autore Annibale Ruccello in didascalia lo prevede bianco, colore più frou-frou ma il nero va benissimo, senza sottolinearlo dà all’apparecchio un peso drammatico. Anche le tenebre del destino qui si mascherano, si travestono con l’umorismo dei napoletani, il loro modo di sfottere la vita sopra la disperazione, sotto la speranza, dentro a un vascio, davanti a un cimitero. Jennifer: “Uh!… (Alzando il ricevitore) Pronto… Chi è? (Deluso) … Ah, no… Avete sbagliato numero (Ripetitivo) No! No, nun so’ Carmela Carmela è il 45 58 64, io invece sono il 42 61 66. (Sbrigativo) Eh lo so, succede spesso… Ci sta una interferenza”.
Queste sono le interferenze del caso.
Jennifer: “Pronto… (Sorpreso) Prego? .. Non capisco!… Inglish?!… Yes, I am Jennifer you chi si’?… (Decifrando) Want, me, you, inglish? Mh… Sorry… I am not undestandt… Compri… Ouì… Yes?… No! Nun saccio manche ‘o marucchino!”.
E queste le interferenze dell’emarginazione. Lingua madre il napoletano, lingua matrigna l’italiano, le altre estranee.
Come Geppy Gleijeses dice le battute è di un divertimento lancinante pari al grottesco spietato del dramma di Ruccello Le cinque rose di Jennifer che lo stesso interprete ha messo in scena all’India di Roma dirigendo se stesso e il figlio Lorenzo, anche lui bravo, bravissimo, nel ruolo di Anna, il secondo travestito. La prima parte è un lungo monologo di Jennifer che gira per la stanza, si trucca, fuma, spiccia faccende, chiacchiera con se stesso, accende la radio, spegne la radio, risponde al telefono, butta giù il telefono e aspetta la chiamata di un certo Franco, il suo Franco, mentre l’emittente Cuore Libero manda sui 400 megahertz della modulazione di frequenza canzoni di Mina, Patty Pravo, Ornella Vanoni. Si sente un travestito che vuole dedicare una canzone di “Romina Pauèr”, Acqua di mare, “ad Alessandro, da parte della sua Annunziata, che se lo ricorda sempre tanto tanto, insieme a Giovanni, Andrea, Luigi, Michele, Renato, Gennaro e a tutti i marinai dello StromboIi”.
La speaker avverte che un folle omicida ha ammazzato quattro travestiti e che conviene rimanere a casa. E visto che bisogna stare rinchiusi, Gleijeses padre si dispiega in una ragnatela fitta fitta fitta di tempi, controtempi, battute, silenzi, facce, mimiche, gesti, movimenti. Seduto, in piedi, allo specchio, ai fornelli, a tavola mangia, beve. Tirate con i fiati, senza i fiati, pause, ripartenze, sguardi, camminate, un’intera attrezzeria recitativa con cui portare a spasso per il palcoscenico Jennifer che ha da stare sotto all’interprete, il quale sa esattamente cosa fare per esaltare e offrire alla platea il personaggio nella sua verità teatrale, nel suo splendore di carattere unico e inimitabile. Questa è proprio l’arte dell’attore all’italiana, per natura antinaturalistico e verosimile, esagerato senza esagerare, tragicamente comico come la fame di Totò che si mette i maccheroni in tasca per averne ancora da mangiare. Come il tormento amoroso di Jennifer che a ogni squillo corre ad afferrare la cornetta per il Franco suo che “Nunn’è ricchione è delicato”.
Quando entra Lorenzo Gleijeses, tutto magro, tutto spiritato, un vestitino grigio e calze spesse, una maschera di angustie e afflizioni, un groppo di paure e avvilimenti, teso e tirato da parere un urlo di Munch, padre e figlio si mostrano al pubblico come due gocce d’acque diverse, il primo in espansione e dilagamento, il secondo in contrazione e trattenimento. Lavora tutto in sottrazione il più giovane Gleijeses, come se avesse dentro il petto una pila di energia nascosta, raffrenata, tutto il contrario del genitore ed altrettanto teatrale ed efficace. Sta più seduto, sta più fermo ma anche lui, fascio di nervi e corrente elettrica, muove il personaggio a piacimento e se ne serve per servirlo.
La regia? Loro due sono la regia.