“Ion” scritto e diretto da Dino Lopardo. Con Lorenzo Garufo e Alfredo Tortorelli. Allo Spazio Diamante di Roma
All’ombra degli uomini stanchi
C’è qualcosa nella scrittura teatrale di Dino Lopardo, o almeno nel suo dramma intitolato Ion e messo da lui stesso in scena allo Spazio Diamante di Roma, c’è qualcosa che ricorda Franco Scaldati. Non è lo stile beckettiano del non dimenticabile palermitano scomparso dodici anni fa e neppure l’estetica (Lopardo è meno romantico). Hanno in comune la poetica dei marginali, il senso degli ultimi, la misericordia verso i non integrati, i disintegrati, l’umanità dispersa nelle regioni terminali della società.
Dietro questo teatro che racconta due vite scarrupate in un ambiente squallido dove si dorme per terra, c’è uno sguardo cristiano che non significa assolutorio, anzi è freddo e vede senza gli occhiali del pregiudizio o dell’ideologia la ferocia dei poveri, la violenza dei derelitti, ma ne coglie anche la grande sofferenza. Non giustificazione, né condanna, né pietismo ma osservazione. L’osservazione è una delle forme che prende la cura dell’altro, è il primo movimento dell’azione, di un’intrapresa come la scrittura di uno spettacolo teatrale che mette in scena due fratelli lucani e li mostra denudati d’ogni orpello antropologico e folcloristico, dilavati dall’ipocrita pittoresco dei diseredati.
Paolo lavora a una pompa di benzina, parla un dialetto lucano duro attraversato come crepe sull’asfalto da parole d’un italiano elementare e televisivo. Sembra uscito fuori da un mondo di bracciantato meridionale, da una miseria materana anni Cinquanta. Invece è un lavoratore povero di oggi e presenta nei confronti del fratello la tipica aggressività del miserabile. Desidera macchine potenti e compra un televisore “full hd schermo piatto”, come dice lui, che emana l’alta risoluzione di un consumismo inarrivabile. Ma lo ha scelto troppo grande, come quelli che si trovano nelle ville dei camorristi, e dovrà cambiare il mobile sul quale stava appoggiato un vecchio apparecchio catodico rotto. Il fratello Giovanni è l’opposto, possiede una cultura rimediata non si sa dove, ha un’anima estremamente sensibile, al punto da risultare un disadattato. Contrariamente a Paolo che da bambino coltivava un rapporto stretto con il padre, Giovanni aveva come punto di riferimento la madre (restituita da Iole Franco), caduta in depressione dopo il secondo parto, che nello spettacolo c’è verso la fine ma come apparizione più che personaggio. Una donna affettuosa per Giovanni, la pazza del paese per Paolo, una palla al piede per il padre che neanche ha mai accettato il figlio diverso. In questo ambiente in cui la parola “bene” non esiste, né economicamente né moralmente, e il pregiudizio fonda i valori, il machismo costruisce l’identità, l’oscurantismo condanna all’arretratezza, Giovanni è pure omosessuale. E più ancora, vuole fare lo scrittore. Un letterato gay immerso in un sottosviluppo culturale e sociale dalle parti della Val d’Agri, come un animalista in mezzo a un branco di cacciatori.
Gli attori sono fisicamente opposti quanto i caratteri dei loro personaggi: un omone mite Lorenzo Garufo per il saturnino Giovanni, magro e nervoso Alfredo Tortorelli per il mercuriale Paolo. Due temperamenti affatto diversi, condannati a scontrarsi continuamente eppure indivisibili, figli di famiglie meridionali che solo la morte scinde. Lopardo li guida in una linea narrativa a tratti spezzata da rimandi al passato e da visioni d’infanzia, oscure brume della mente che accentuano la lontananza di questo mondo che vive sulla costa del finis terrae, dove la metropoli dei teatri non arriva. Il senso del testo e dell’allestimento sono le pagine bianche, non scritte, dello scrittore Giovanni, attaccate a croce sulla porta del tugurio nel quale i due fratelli abitano. Una poetica che non è semplicemente un’estetica. Lopardo autore e regista ha firmato anche la scenografia di uno spazio pauperistico e le curatissime luci che lavorano su diverse gradazioni del buio e della semioscurità. È la sera degli uomini stanchi, è la notte delle anime perse.