“La ciliegina sulla torta”, testo e regia di Diego Ruiz, con Edy Angelillo, Milena Miconi, Blas Roca Rey. Al Manzoni di Roma

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Fatta l’Italia, bisogna fare la cucina degli italiani

La ciliegina sulla torta in scena al teatro Manzoni di Roma è una commedia di cassetta, come si dice, perfetta per ricordare all’onorato pubblico che il teatro è uno strumento per pensare ma anche per non pensare, un congegno per lo spasso. Non pensare a volte è igienico, al pari dello shampoo lava la testa e dà un senso di pulizia. Andare a vedere uno spettacolo come questo, scritto e diretto da Diego Ruiz, è come per un gatto mettersi sotto allo stendino del bucato e respirare l’odore del detersivo (ecologico). Il bigottismo intellettuale vieta però di ammettere che sabato sera si è andati in sala a ridere senza remora invece di finire al ristorante ad onorare la nostra civiltà gastrica nella quale per giustificare le necessità dello stomaco i cuochi sono stati elevati a chef-à-penser. Quindi gli artisti di palcoscenico si sentono in dovere di dare un tono riflessivo alla presentazione dello spettacolo: “Una commedia sfacciata e piccante sulla famiglia e le sue innumerevoli dinamiche. Uno sguardo esilarante sui rapporti di coppia, sulle relazioni tra genitori e figli e sugli inevitabili conflitti tra uomini e donne”. Per fortuna ci pensano gli attori a rendere sfacciata la loro prova in una commedia le cui innumerevoli dinamiche appaiono piuttosto ferme quanto alle relazioni fra genitori e figli o ai conflitti tra uomini e donne. Un giorno, fra qualche secolo, quando la scoperta degli extraterrestri mostrerà il provincialismo degli esseri umani, uno storico dello spettacolo cercherà di capire come mai per alcuni decenni la commedia italiana, in ispecie cinematografica ma anche teatrale, si è occupata prevalentemente di questioni fondamentali per l’industria delle pantofole come le guerre nucleari nei due paesi più importanti della famiglia, il salotto e la cucina.
L’ingrediente principale della torta di Ruiz è il dialogo mentre di azione se ne fa parsimonia come dello zucchero nelle crostate dietetiche. I dietologi però consiglierebbero anche il contrario di quanto fa la commedia che chiacchiera molto e si muove poco. Il figlio d’una coppia in cui la moglie è un avvocato di grido e il marito sta a casa a cucinare e stendere i panni torna dagli Stati Uniti dove studia, accompagnato da una fidanzata attraente che però ha quasi l’età della mamma. Scoppia un putiferio che si reitera nella sua dinamica elementare per quasi tutta la rappresentazione: la genitrice è contrarissima all’unione e avversa con decisione la signora americana; il padre è più aperto, soprattutto più tardo di comprendonio. La vera critica sociale e di costume sta nel fatto che il signore, fra una lavatrice e una lavapiatti, ha scritto un romanzo: questo è un bel calcio sotto le poltrone degli spettatori perché si può star certi che oltre metà del pubblico ha scritto un romanzo, come è consuetudine di una popolazione in cui la stragrande maggioranza non legge e non sa scrivere. Tutto finirà con un colpo di scena, in verità assai bene architettato dall’autore perché inaspettato, rapido e definitivo.
La parte migliore dello spettacolo è frutto degli attori. Portano a casa la serata senza dar modo di capire se credono alla commedia o puntano soprattutto su se stessi. Edy Angelillo che fa la madre è una garanzia, sta sul personaggio come una soubrette sui tacchi a spillo e lo conduce dove vuole, nei battibecchi con il marito, nelle nevrosi della femmina in carriera, nelle sfuriate contro il figlio. Blas Roca Rey riesce a risolvere il padre, parte meno brillante della moglie, caratterizzandolo con un’ironia sottile e a tratti una malinconia che lo rendono caldo e tenero nel suo noviziato di esponente del nuovo sesso debole. Milena Miconi nel ruolo della fidanzata biondona e matura inventa tutto un suo gioco comico su un gergo da italoamericana d’origine meridionale, parodia (neppure esagerata) degli statunitensi di seconda generazione che parlano per metà l’inglese d’oltreoceano e per l’altra il campano d’esportazione. Il resto della sua prova segue perché quando un interprete ha trovato accenti e toni giusti, i gesti e gli atteggiamenti vengono più facilmente. Il figlio è Luca Attadia, giovane promettente che ancora promette e in parte anche mantiene per come si muove in scena e interagisce con i colleghi, ma ci si aspetta in futuro da lui maggior personalità e originalità di modo che da sostituto di un attore diventi un attore insostituibile.

Marcantonio Lucidi,
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