“I ragazzi irresistibili” di Neil Simon, con Umberto Orsini e Franco Branciaroli diretti da Massimo Popolizio. All’Argentina di Roma
La vita va ma il teatro resta
È tornata all’Argentina di Roma una coppia di attori irresistibili, per parafrasare il titolo che portano in scena, I ragazzi irresistibili. Umberto Orsini e Franco Branciaroli due anni fa sulla stessa ribalta interpretarono “Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute e viste le delizie teatrali che combinarono insieme, non si dubita del fatto che la famosa commedia di Neil Simon è perfetta per loro.
A leggerlo, sembrerebbe che il testo cammini da solo, che chiunque lo possa fare talmente è ben congegnato nei dialoghi e nell’azione. Questa però è l’impressione che generalmente caratterizza la grande drammaturgia: come la fai, comunque sta in piedi. Non è vero. Ci vuole una coppia di maghi come Orsini e Branciaroli, o come Walter Matthau e George Burns nella famosa trasposizione cinematografica del 1975 oppure Woody Allen e Peter Falk nella versione televisiva americana. Nino Taranto e Aldo Fabrizi nell’edizione teatrale italiana del 1974.
I ragazzi irresistibili racconta di due vecchi attori famosissimi come coppia comica che non si sopportano più e non si vedono da undici anni. Adesso però dovrebbero riunirsi per una serata televisiva di celebrazione del varietà d’una volta. Siccome il teatro e la vita sono l’uno specchio dell’altra e viceversa, qui si parla del teatro e della vita. Questa è probabilmente la ragione prima della grande fortuna che giustamente ha glorificato la commedia di Simon e l’ha resa un classico del Novecento. Poi naturalmente a favore del divertimento vanno il funzionamento perfetto del meccanismo teatrale e un topos dello spettacolo che è l’eterno gioco della coppia, il clown bianco e l’augusto, Oliver Hardy e Stan Laurel, Bud Spencer e Terence Hill, in questo caso Orsini e Branciaroli rispettivamente nei ruoli di Al Lewis (il bianco, l’uomo d’ordine) e Willie Clark (l’augusto, l’anarcoide). I personaggi sono ispirati a Joe Smith e Charles Dale, coppia comica inossidabile che durò settant’anni, ma per l’aspetto litigioso che caratterizza i suoi due attori, Simon ha preso elementi dal duo Ed Gallagher – Al Shean, di gran successo fra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso.
Sotto l’aria burlesca di teatro nel teatro, in cui l’autore scherza sulle manie, i nervosismi, le insofferenze degli artisti di palcoscenico, si cela appunto la vita. Per esaltare la riflessione sulla condizione umana che Simon espone sottotraccia e che rende la drammaturgia vieppiù solida ed efficace anche dal punto di vista strettamente teatrale, il regista Massimo Popolizio ha operato con una mano nascosta ma decisiva. Uno spettatore potrebbe anche chiedersi in cosa consiste una regia con due interpreti di tale altezza a disposizione, se non dare un aiuto come terz’occhio e mettere un po’ di ordine in palcoscenico, magari indicare agli interpreti le entrate e le uscite. Invece Popolizio dimostra quanto può essere importante una regia: vi sono nel corso della rappresentazione momenti sospesi, cambi di ritmo e certi silenzi che fanno pensare a Beckett. Lo spettatore ne resta quasi sorpreso e pensa a un abbaglio, un’illusione, anche se in tal modo la commedia prende ad avanzare sopra una corrente di solitudine, di provvisorietà, di finitudine. I due attori sono artisti in disarmo, avviati al declino, al termine della loro esistenza. Teatro e vita sono parimenti inesorabili. Non è una svista di chi guarda: le note di regia informano dell’intento di Popolizio di cogliere nel dramma tutto ciò che lo rende “più vicino al teatro di un Beckett (Finale di partita) o addirittura a un Cechov (Il canto del cigno) piuttosto che a un lavoro di puro intrattenimento”. Forse Cechov si percepisce di meno, o è più recondito, però si avverte in effett nel corso della rappresentazione uno struggimento per la vita che se ne va. Il tema è questo. La bravura a teatro è fare credere al pubblico che lo spettacolo è un divertimento quando invece è una lezione di vita.
Flavio Francucci (il nipote di Willie Clark) è un attore che sa stare accanto a due grandi interpreti; molto divertente Emanuela Saccardi che fa la parodia di una maggiorata tutta strilletti e ammiccamenti; in scena anche Eros Pascale e Chiara Stoppa. Scene di Maurizio Balò, costumi di Giancarlo Sbicca.
Applausi forti, convinti di una platea che ha riso molto.