“Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino, adattamento di Matilde Accardi, regia di Tommaso Capodanno, con Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane. Al teatro India di Roma
Non esserci per esistere
Il cavaliere inesistente di Italo Calvino è una meravigliosa lettura da fare negli anni della prima adolescenza per figgersi bene in testa cos’è la vita che si para davanti e da riprendere, dopo le smemoratezze dell’età dell’azione, per ragionare su quanto è rimasto dentro la propria corazza. La letteratura di questo genio del filosofare per romanzo cavalleresco non è facile da trasporre a teatro, come non lo sono i cicli carolingi e le storie arturiane o bretoni, salvo cimentarsi nelle opere ardimentose dei pupi siciliani. Dalla pagina l’azione si trasferisce nel cuore del lettore mentre dalla scena si proietta negli occhi. E si potrebbe sostenere che il cuore è la porta dell’anima mentre gli occhi sono finestre dello spirito.
Epperò al teatro India di Roma un quartetto di attrici s’arrischia all’impresa armato dell’adattamento di Matilde Accardi e sotto la capitania registica di Tommaso Capodanno. Un racconto a quattro voci di Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane che non stanno lì solamente a riferire i fatti dei paladini di Carlomagno e degli infedeli ma recitano, suonano, cantano in una scenografia fiabesca e georgica di Alessandra Solimene, un campo di grano. Roteano spadoni, sventolano a mo’ di scudi coperchi di marmitte e manovrano una grande armatura bianca, un puppet, un pupo di due metri e più con l’elmo, il pettorale, la panzera, gli spallacci, i rebraci, le cubitiere, i vambraci, le manopole.
Né pause né tempi morti nella battaglia teatrale delle interpreti, già è abbastanza difficile da tenere la tensione che se casca resta sulle tavole del palcoscenico come il saraceno di Spagna Ferraù ucciso da Orlando. Un po’ lungo in verità lo spettacolo, cento minuti, seppure ci sarebbe da osservare che l’Opera dei Pupi si distende su tre atti per due ore e vien da pensare che quando s’era bambini due ore facevano il tempo d’un fiato e da adulti, con meno vita a disposizione, il tempo si spalma come la confettura quando scarseggia. Oppure che i pupi, e questa ipotesi suona verosimile, possiedono un fascino che gli umani non hanno.
Tuttavia conta lo star bene con le quattro attrici le quali, come Calvino, fanno finta di parlare agli infanti per l’intendimento dei “grandi”, parolona sovrabbondante e presuntuosetta. Il cavaliere inesistente, Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez, non esiste e vuota di corpo è la sua armatura ma piena d’una volontà che la muove nel mondo. Le favole sono come le comete, si portano in coda la polvere delle esegesi e dei significati e dal cavaliere inesistente si può estrarre l’essere umano nella civiltà di massa, ma tutto sommato consistono semplicemente nel guardare la realtà attraverso la fantasia e il visibile attraverso l’invisibile. “Il cavaliere inesistente – spiegava Calvino – è una storia sui vari gradi d’esistenza dell’uomo, sui rapporti tra esistenza e coscienza, tra soggetto e oggetto, sulla nostra possibilità di realizzare noi stessi e di entrare in contatto con le cose”.
Allora s’ha da guardare lo spettacolo (e da leggere il libro) prescindendo dai possibili significati, divertendosi alle avventure di Agilulfo e di Gurdulù, della fiera amazzone Bradamante e del giovane Rambaldo, del cupo Torrismondo e della placida Sofronia. In mezzo al succedersi di trovate buffonesche, di battaglie, duelli e naufragi, la bellissima Bradamante, guerriera nascosta dentro la sua armatura, salva da un’imboscata saracina il prode Rambaldo. Meravigliose le donne che proteggono gli uomini dalle imboscate della vita infedele.