“I masnadieri” da Friedrich Schiller, rielaborazione testuale di Tommaso Emiliani e Michele Sinisi anche regista. Con gli attori del Gruppo della Creta. Al teatro Basilica di Roma

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Lo Sturm und Drang è cascato nel Rotor

Ecco la prima opera compiuta del ventenne Friedrich Schiller (1759 – 1805) che in precedenza aveva scritto solo abbozzi di testi teatrali, ecco il nuovo dramma germanico e il primo romantico grido di rivolta dell’individuo contro la società, Die Räuber, I masnadieri che l’autore non aveva pensato per il teatro, arte a lui ancora ignota in quei suoi anni giovanili, ma per una pubblicazione. Tanto fu il successo quando andò in scena nel maggio 1782 al teatro di Mannheim, tanto si diffuse lo spirito di rivolta e di libertà che permea il dramma da indurre nel 1785 a Lipsia un gruppo di giovani a darsi alla macchia per una vita da briganti.
Questo testo pregno di testosterone, affollato di maschi e con una sola donna, proposto al teatro Basilica di Roma con la regia di Michele Sinisi, è imperfetto, frutto d’un drammaturgo ancora inesperto della scena e della vita, epperò sprizza energia. I personaggi non sono caratteri e tantomeno psicologie, appaiono esagerati, mancano di equilibrio, ma si manifestano come simboli del mondo spirituale schilleriano o, se si vuole, pulsioni dell’animo umano. Allora il protagonista Karl non è un ribelle ma lo spirito stesso della ribellione, suo fratello Franz non un vizioso bensì il vizio personificato e la sola fanciulla del dramma, Amalia, rappresenta una fantasticheria sulla donna, un’utopia del femminile come la può creare l’immaginazione di un giovane maschio. Tutto ciò piacque molto ai tempi gloriosi dell’eroicità istintuale e dello Sturm und Drang, però è difficile da recitare perché notoriamente si può interpretare l’innamorato ma non l’amore. I personaggi hanno da essere sulla scena uomini e al contempo astrazioni ma Sinisi cerca di superare la difficoltà con forzature  mascherate da energia, con urla ed eccessi recitativi. Chi non possiede la chiave, scassa la serratura. Il regista trasforma l’impeto eroico in chiasso, l’ardore e la nobiltà dei sentimenti in vaniloquio e l’agognata palingenesi spirituale tipica dell’anima romantica in una giostra scenica da rotor del luna-park, con la speranza che i personaggi restino sospesi a mezz’aria e non finiscano di sotto. Invece cade, per esempio, la tensione fra gli afflati d’amore e d’amicizia di Karl – in rivolta contro il dispotismo e l’immoralità – e il suo agire antietico volto all’omicidio e alla devastazione. Quanta romantica gioventù bruciata in ciò.
D’altro canto, se sul programma di sala per la messinscena d’un testo così complesso, a volte sbilanciato ma ricco di momenti altamente poetici e coerente  nel suo procedere, sta scritto “rielaborazione testuale” (di Michele Sinisi stesso e Tommaso Emiliani) c’è da aspettarsi qualche trovatina. Ogni tanto, uno degli attori si piazza davanti alla platea e declina le proprie generalità, il nome del personaggio da lui interpretato e dice qualcosa inerente la vicenda. Perché? È un artifizio retorico, ogni effetto senza ragione è difetto. Salvo voler sostenere che il trucco serve a faciltare la comprensione della trama, squinternata da tagli e manipolazioni. Allora perché i cinque atti originali durano circa tre ore e questa riduzione arriva quasi a due ore e mezza senza intervallo? In genere quando si usano le forbici, si finisce intorno ai novanta minuti di rappresentazione, tempo considerato sopportabile al pubblico di oggi. Il regista e l’altro adattatore hanno aggiunto roba loro che è come mettere acqua nel vino di Schiller, ch’egli ha prodotto da vigne poetiche e drammaturgiche ispirate a Skakespeare, Goethe, Lessing e filosofiche di Rousseau. Resta la trama che è come dire il bicchiere, utile ma neutro rispetto al contenuto, ossia al significato, e che incomincia così: nel castello della famiglia Moor, in Franconia, il deforme Franz, figlio del feudatario Maximilian, è roso dalla gelosia per il solare fratello Karl che si è dato a una vita sregolata insieme ai compagni di bohème. Franz induce il padre a maledire Karl, il quale,  sconvolto e ormai incredulo riguardo la bontà degli esseri umani, si mette a capeggiare una banda di masnadieri. Questo è il bicchiere. Il vino lo sorseggia Goethe: “Tutta l’opera di Schiller – scrive – è animata dall’idea della libertà che prende forme sempre diverse a mano a mano che il poeta approfondisce la sua cultura e sviluppa il suo mondo interiore”.
In scena Matteo Baronchelli, Stefano Braschi, Vittorio Bruschi, Jacopo Cinque, Gianni D’Addario, Lucio De Francesco, Alessio Esposito, Lorenzo Garufo, Amedeo Monda, DonatoPaternoster e Laura Pannia, attrice che possiede una sua personalità.

 

Marcantonio Lucidi,
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