“Nannare’ ”, monologo scritto e interpretato da Giulia Ricciardi, regia di Patrizio Cigliano. Alla Cometa off di Roma

Nannare'

Roma battona e battuta

Nel monologo scritto e interpretato da Giulia Ricciardi, Nannare’, diretta da Patrizio Cigliano al teatro Cometa off di Roma, si trovano un mito e un luogo comune. Il mito, come indicato dal titolo, è Anna Magnani. Il luogo comune è la prostituta romana, figura proveniente dalla notte dei tempi capitolini: la leggendaria lupa che allattò Romolo e Remo probabilmente era una meretrice, da lì la parola “lupanare”, per indicare il postribolo. A peggiorare le cose, il mito e il luogo comune si sono intrecciati quando la Magnani girò Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini. Quindi mettersi a scrivere e allestire uno spettacolo intitolato Nannare’ appare quanto meno azzardato.
Eppure a teatro non si può mai stare tranquilli, persino una banale storia di gelosia rischia di diventare interessante. Una a caso, un extracomunitario di nome Otello ammazza la sua amata Desdemona che ritiene a torto una traditrice. Tutto sta nel modo di scrivere e di interpretare.
Senza indebiti paragoni con il sommo Shakespeare, il monologo di Ricciardi è accalappiante e tiene al laccio corto lo spettatore per portarlo dall’inizio alla fine, se non fosse per una decina di minuti di troppo dovuti quasi certamente ai guai dell’amore. L’amore dell’autrice per il testo da lei stessa interpretato e che impedisce di vedere il debordare, forse nella convinzione che poi in scena a forza di ritmo, velocità ed esuberanza recitativa, l’esubero drammaturgico rientrerà nel vaso dello spettacolo.
I guai d’amore del personaggio, Nannarella, sono invece dovuti al fatto che il suo prosseneta, il quale è anche il suo compagno, la riempie di botte un giorno sì e l’altro pure. E anche se finisce all’ospedale con i timpani sfondati, le mascelle rotte, le costole fratturate, lei ogni volta lo giustifica: è nervoso, è stressato, ha ben cinque puttane a cui badare, “mi picchia ma mi vuole bene”. Siccome “è il mio uomo”, dice, lei vorrebbe sposarlo ma il pappone ha già una moglie e un figlio fuori città, e con questa scusa rimanda. Non rinvia i maltrattamenti. Anzi, lei si preoccupa se lui omette di ripassarla di schiaffi, non è normale, vuol dire che qualcosa non va. L’epilogo è telefonato, come si dice in gergo, inconveniente di poco conto perché questo è uno spettacolo sulla violenza di genere, quindi è ovvio che non finirà con i fiori d’arancio ma con i crisantemi.
Dal punto di vista teatrale conta l’interpretazione di Ricciardi e la sua abilità nel confezionare un testo a propria misura, affidando la regia a Patrizio Cigliano che non solo le fa da specchio ma evidentemente la accompagna con una direzione scenicamente molto semplice, tre sedie, ma attenta alla recitazione, al ritmo, alle peculiarità dell’attrice. Ricciardi da anni è impegnata in commedie, ha una tecnica e dei tempi di battuta utili a un monologo drammatico. È agile nelle variazioni, nei cambi di registro, in repentini passaggi al brillante che alleggeriscono la materia non allegra per tornare senza imbarazzi né cadute di tensione nel doloroso. Ha uno stile da caratterista, aiutata dal romanesco che usa come lingua di popolo e le consente sintesi espressive e rapidità d’eloquio. Accorta nell’evitare il rischio del romanaccio, del folklore scadente d’una volgarità capitolina che peraltro occulta il genio del dialetto in favore d’una facilona risata grassa. Nel monologo, che non propone un intreccio ma una storia di vita, passa una Roma plebea dove il “mestiere” si tramanda dalla nonna alla madre alla figlia “d’arte” quindicenne e i padri sono ignoti; ad occuparsi della Nannarella bambina sono le suore (da qui il cognome, “Della Monaca”); le vacanze a Passoscuro negli anni Settanta si facevano presso lo stabilimento balneare di un conoscente che metteva a disposizione il casotto anche come alloggio. Non è una Roma pasoliniana, Pasolini era un forestiero che dei romani conosceva soprattutto il sottoproletariato di borgata, meno il popolo del centro, le puttane di via Urbana, i pugili rintontoniti di cazzotti dell’Esquilino e gli ex carcerati diventati tipografi. Nannarella ha dei sogni piccolo-borghesi, le piacciono Milly Carlucci e Barbara D’Urso, però non è una Mamma Roma ambiziosa, né una donna di perdizione romantica ma una lupa sentimentale e un po’ spelacchiata, come la fa Giulia Ricciardi.

Marcantonio Lucidi,
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