“L’uomo sottile” di Sergio Pierattini, regia di Manuela Mandracchia, con Massimo Reale. Al Bernini di Ariccia
Il mio teatro per un cavallo
L’uomo sottile, monologo scritto da Sergio Pierattini e andato in scena al teatro Bernini di Ariccia, è la storia di un fantino del Palio di Siena, un personaggio immaginario di nome Andrea Rampaldi, soprannome “il Boia”, legato e imprigionato per tradimento della contrada per la quale ha corso. Se si tralascia il testo e si osserva piuttosto il risultato del lavoro in comune fra un interprete, Massimo Reale, e una regista, Manuela Mandracchia, ch’è una collaborazione fra due artisti della scena sempre particolare quando si tratta d’un monologo, si assiste a una prova d’attore ben condotta e calibrata nei ritmi recitativi e nel tempo complessivo della rappresentazione.
Mandracchia si è diplomata in Accademia nazionale d’arte drammatica; Reale ha fatto due anni di Silvio D’Amico e ha frequentato a Firenze i corsi di Orazio Costa, il cui metodo mimesico è stato alla base delle pratiche accademiche. I due sono quindi legati da una comune radice formativa e la Mandracchia, che molto ha lavorato con Luca Ronconi, ha un’idea chiara di come si realizza una strategia di comunicazione teatrale. Anzi, l’espressione “strategia di comunicazione” è stata per anni un mantra in accademia, varie volte frequentata da Ronconi come docente (e in precedenza come allievo). L’idea molto ronconiana che in prova bisogna operare sul testo un’autopsia e sezionarlo come un cadavere prima di ricomporlo in forma scenica, produce il vantaggio che si può fare teatro persino con un dizionario di bioetica (come il maestro dimostrò in pratica). Quindi se lo scritto presenta delle manchevolezze, non ha soverchia importanza, perché quello che conta è quanto succede sul palco dopo la dissezione e la rigenerazione scenica del morticino testuale. I problemi del monologo di Pierattini non vengono risolti dall’autore ma mascherati dalla regista e dall’interprete.
Il fantino in canottiera, prigioniero nella cella d’un non precisato luogo della città, legato ai polsi e alle caviglie, racconta di come la contrada nemica della sua ha vinto il Palio e svela agli spettatori gli intrighi, i tradimenti, la corruzione che sottostanno alla carriera di piazza del Campo. Chi è stato a Siena il 2 luglio o il 16 agosto sa quale enorme fibrillazione corre per la città in quei due giorni, ma solo se si è contradaioli si possono intendere le folli macchinazioni che per mesi e fino in mezzo ai canapi in piazza anticipano il momento in cui il fantino del cavallo di “rincorsa” dà il via alla gara. Tutto questo ambiente di intrallazzi, imbrogli, inganni è evocato con cognizione di causa dall’autore, il quale è nato a Sondrio ma ha abitato fin da piccolo a Siena e sa bene di cosa scrive.
In una nota di presentazione dello spettacolo si legge: “L’uomo sottile, attraverso la vicenda minima de “il Boia”, vuole dunque offrire allo spettatore uno spunto di riflessione sul mondo di oggi che ha scelto di sostituire la verità dei fatti con ambigue e strumentali «narrazioni»”. Lo spettacolo intende farsi metafora del nostro tempo caratterizzato dalla menzogna, più propriamente si tratterebbe di un’allegoria a sfondo morale. Il monologo però non si eleva, non illumina i principi universali grazie ai quali lo spettatore dovrebbe riconoscerne la qualità allegorica e la finalità morale. Resta il racconto dei sottoscala in cui si escogitano i machiavelli per il Palio. Interessante, ma non molto diverso da un buon reportage giornalistico dalla “pancia” della città. Notoriamente il mondo è pieno di posti dove si complotta e si corrompe, a teatro non basta il racconto per passare dal particolare al generale, è necessaria una mano drammaturgica che per esempio si concentri nella cosiddetta “étude de moeurs”, nello studio di costumi. Allora l’interprete spinge, scuote questo monologo con la prestazione, carica la recitazione di un pathos necessario a dare movimento e forma rteatrale a un monologo che parla più dell’autore che di noi.