“Boston marriage” di David Mamet, regia Giorgio Sangati, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria. Al teatro India di Roma
Il talento è erotico
Anche se si fosse particolarmente arrabbiati per i casi propri o desolati per i destini dell’umanità, anche se esasperati perché il fisco ha mandato la solita cartella pazza o disperati all’idea che Trump possa vincere le elezioni americane, tutto scomparirà di fronte alla grandezza di una formidabile, meravigliosa Maria Paiato in Boston marriage di David Mamet al teatro India di Roma. Accanto a lei, le altre due interpreti Mariangela Granelli e Ludovica D’Auria offrono prove perfette, di attrici che non hanno paura di stare in scena con un’interprete di altezza terrificante. Viene il sospetto che Maria Paiato sia la migliore attrice italiana di questi tempi, vederla recitare produce una sensazione sensuale. La bravura estrema, la superiore intelligenza artistica e il piacere, il divertimento che chiaramente lei prova nel gioco scenico toccano l’erotismo. Siccome gli aggettivi non bastano, bisogna utilizzare i verbi: Paiato interpreta, recita, scherza, celia, buggera, ironizza, cita, mima, imita. Smorfieggia, ancheggia, diveggia; modula, smiagola, tremola; freme, geme, teme; prilla, fibrilla, brilla. Con lei viene una gran voglia di teatro, non importa se comico o tragico, in questo caso una specie di drawing room comedy, una commedia da salotto tutta costruita su battute argute e salaci ma che invece di presentare i soliti personaggi di questo genere, ricchi, conformisti e rilassati, ha come protagoniste due signore saffiche di una certa età, Anna e Claire. La prima si fa mantenere da un amante sposato e pieno di soldi che le ha anche regalato una preziosissima collana di smeraldi; la seconda è l’amica, la sua compagna di vita e d’amore.
“Boston marriage” è un’espressione americana per indicare la convivenza fra due donne indipendenti dagli uomini. Claire si è invaghita di una ragazza che non appare mai ma che si rivelerà con un gran colpo di scena la causa di disgrazie inaspettate per le due signore. Questo dramma che dovrebbe piacere anche a chi non apprezza particolarmente il drammaturgo statunitense, è un Mamet non troppo Mamet che costruisce un dialogo divertentissimo di raffinate freddure, di battute spesso grottesche, a volte surreali, un umorismo anglosassone sarcastico e cinico. E se un testo simile, così pieno di possibilità, capita nelle mani, anzi entra nella testa, nella voce, nel corpo di Maria Paiato, si finisce per assistere a uno spettacolo memorabile. Mariangela Granelli interprete di Claire è all’altezza del compito, una deuteragonista di classe, ha le qualità artistiche e tecniche per stare accanto alla Paiato, non ne ha soggezione ma si intuisce che l’apprezza molto. L’altra sera, mentre la Paiato scuoteva di toni, ammiccamenti, atteggiamenti, facce, pause improvvise, cambi di ritmo, una tirata spiritosa, Granelli semisdraiata su una dormeuse la guardava da sotto in su con un sorriso che non pareva del personaggio ma dell’attrice in divertita ammirazione della superba collega. Ludovica D’Auria fa la cameriera, pure lei molto brava, che lavora come Mamet ha pensato il ruolo, con battute solo apparentemente di servizio e invece buffe, necessarie a spezzare il ritmo delle due signore e rilanciarlo, cambiare la temperatura delle scene, segmentare l’azione, rallentarla di pause e digressioni per restituirla all’impeto e all’imprevedibile. La regia di Giorgio Sangati organizza tutta l’energia e l’eccellenza delle tre interpreti, ne regola le entrate e le uscite, indica loro i movimenti, le posizioni di scena. Si nota un solo errore non di direzione ma di grafica: in locandina il nome del regista viene prima di quello dell’autore e con caratteri di pari grandezza, “Sangati / Mamet”. Si tratta d’una questione di etichetta che per fortuna non incide sulla messinscena. Lo scenografo Alberto Nonnato ha allestito un salotto fine Ottocento che ricorda la maison di una cocotte, con velluti in gradazione dal rosso al rosa, la dormeuse al centro dell’azione e secrétaire, tazze di tè, vassoi d’argento. Dello stesso periodo i costumi di Gianluca Sbicca, giusti anche rispetto al carattere dei personaggi, più luminosi e sgargianti per la vivacissima, caustica Anna; più cupi sull’innamorata Claire sempre in ambasce per la paura di perdere la ragazza e le agognate saffiche ore d’amore.
Questo spettacolo magnifico è andato in scena all’India per sole sei repliche. È del Teatro di Roma un modo pessimo di fare programmazione.